Proteggersi dai ribassi di oltre il 50% con due banche straniere con un rendimento del 13.67%

Per ragioni di tempo il post di questa settimana sarà in formato più ridotto.

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I principali indici azionari statunitensi hanno chiuso la settimana in calo, influenzati dalla volatilità dei titoli di Stato e dalle rinnovate tensioni commerciali. L’S&P 500 e il Dow Jones sono tornati in territorio negativo da inizio anno, mentre il Nasdaq ha contenuto le perdite (-2,47%). La debolezza è stata accentuata da un’asta deludente di titoli del Tesoro a 20 anni, che ha fatto salire i rendimenti, raggiungendo il livello più alto dal 2023 per i titoli trentennali. Le preoccupazioni sono aumentate dopo il downgrade del debito sovrano USA da parte di Moody’s e l’approvazione di una legge fiscale del presidente Trump, vista come potenzialmente espansiva per il debito pubblico.

I mercati sono scesi ulteriormente dopo che Trump ha annunciato nuove tariffe del 50% sulle importazioni dall’UE, a partire dal 1° giugno, e ha minacciato tariffe del 25% sugli iPhone se Apple non trasferirà la produzione negli USA.

Nel frattempo, l’attività economica statunitense è migliorata a maggio. L’indice PMI dei servizi è salito da 50,8 a 52,3, mentre quello manifatturiero è cresciuto a 52,3, segnando una ripresa rispetto ad aprile. Tuttavia, i prezzi sono aumentati al ritmo più alto da agosto 2022, legati in gran parte ai dazi.

Nel settore immobiliare, le vendite di case esistenti sono scese ai minimi da aprile 2009, mentre le vendite di nuove case sono salite inaspettatamente a 743.000 unità. I tassi ipotecari a 30 anni hanno toccato i livelli più alti da metà febbraio.

In Europa, l’indice STOXX Europe 600 ha perso lo 0,75% dopo l’annuncio delle tariffe USA. Gli indici principali di Germania, Francia e Italia sono scesi, mentre il FTSE 100 del Regno Unito ha guadagnato. Il PMI dell’Eurozona è sceso sotto 50, indicando contrazione. La Commissione Europea ha rivisto al ribasso la crescita del 2025 allo 0,9%.

Io in questo contesto continuo a mantenermi molto liquido, vendo dollari in tutte le suo forme (ETF in USD, azioni e obbligazioni), compro oro con hedge in euro e prodotti che mi garantiscano un importante flusso di cassa a fronte di una buona protezione.

Il certificato di questa settimana si inquadra proprio in questo contesto.

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Tre società per la ricostruzione in Ucraina per quasi il 9% annuo

La scorsa settimana ha segnato un importante punto di svolta per i mercati azionari statunitensi. Dopo il violento drawdown di aprile, l’indice S&P 500 e il Nasdaq hanno chiuso in territorio positivo da inizio anno, con una distanza di poco superiore al 3% dai massimi storici. Si è trattato di un recupero tanto rapido quanto sorprendente, favorito da due catalizzatori principali: l’allentamento delle tensioni commerciali e il ritorno degli acquisti sui titoli tecnologici.

L’amministrazione americana ha infatti sospeso per 90 giorni gran parte delle tariffe doganali introdotte ad aprile (esclusa la tariffa base del 10%) e, a sorpresa, ha annunciato una drastica riduzione delle tariffe verso la Cina, passate dal 145% al 30%. In parallelo, numerose aziende USA hanno siglato importanti accordi commerciali in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, con una forte componente legata alla tecnologia avanzata. Queste intese, sebbene sollevino interrogativi sul piano della sicurezza nazionale, hanno riacceso l’interesse del mercato per il comparto AI.

Proprio in questo contesto si inserisce la revoca della “AI Diffusion Rule”, una norma introdotta da Biden a gennaio che limitava l’export di chip AI verso numerosi Paesi. La sua eliminazione favorisce attori come Nvidia, AMD e Intel, che hanno già iniziato a recuperare parte delle perdite, riducendo il drawdown dal 30% di aprile a circa il 9%.

Tenete a mente questo aspetto perché la competizione sulla tecnologia tra USA e Cina sarà uno degli aspetti dirimenti nei prossimi anni.

Crescita solida, inflazione sotto controllo

L’economia reale mostra segnali di tenuta. Le attese di recessione, che a fine aprile raggiungevano il 65% su piattaforme di prediction market come Polimarket, sono ora scese al 38%. Il modello GDP Now della Fed di Atlanta prevede una crescita del PIL USA del 2,4% per il trimestre in corso. Nel frattempo, i dati sull’inflazione sorprendono in positivo: il CPI è uscito al 2,3% (vs 2,4% atteso), il PPI al 2,4% (vs 2,5% previsto), smentendo i timori di una nuova fiammata inflattiva.

Eppure, il sentiment dei consumatori rimane fragile. Il sondaggio dell’Università del Michigan indica aspettative di inflazione a un anno al 7,3%, un valore distorto da fattori psicologici e polarizzazione politica. A questo si aggiungono le prime avvisaglie di rincari nei beni soggetti a dazi, come segnalato dal CEO di Walmart.

Moody’s declassa gli Stati Uniti: impatto psicologico, ma non sistemico

A mercati chiusi, Moody’s ha annunciato il downgrade del debito USA da Aaa ad Aa1, citando l’incapacità del governo di contenere deficit e spesa per interessi. La decisione, pur attesa da alcuni analisti, è un campanello d’allarme sulla traiettoria del debito: si stima che nel 2025 il 30% delle entrate federali sarà destinato al pagamento degli interessi. Il downgrade non implica un rischio di default, ma rende evidente l’erosione della fiducia nel debito sovrano statunitense, definito da tempo “risk free” solo nominalmente.

Treasuries sotto pressione, attesa per l’autunno

A mio avviso, il vero freno al rialzo dei mercati non è il rischio di recessione, bensì la fragilità dei Treasury. L’elevato disavanzo, la fine del QE, il Quantitative Tightening in atto e l’assenza di nuovi acquirenti istituzionali esteri mettono pressione sulle aste. Se i rendimenti dei decennali si avvicinassero al 5%, l’azionario ne risentirebbe.

Proprio per affrontare questi problemi, esiste la proposta di modifica dei ratio patrimoniali bancari, attesa per l’autunno, potrebbe sbloccare nuova domanda da parte delle banche USA. Inoltre, nel 2026, la Fed potrebbe vedere un cambio alla guida, con un profilo più accomodante.

Il quadro attuale resta di temporaneo equilibrio: l’azionario cavalca un rimbalzo tecnico e macroeconomico, ma le fondamenta fiscali e obbligazionarie restano fragili. Estate e autunno si prospettano come banchi di prova. Fino ad allora, momentum e speranza restano le forze trainanti.

Benché, lo sapete, io non abbia approfittato di questo ultimo movimento a V, rimango ancora in posizione attendista rispetto all’azionario e continuo con i miei due principi base: protezione e diversificazione.

In questa direzione va il prodotto descritto di seguito che ha due caratteristiche principali: barriera distante e sottostanti che non si hanno in portafoglio.

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Il certificate che presento questa settimana è incentrato sulla futura ricostruzione dell’Ucraina. Per completezza riporto i motivi per cui è stato proposto, fermo restando che i motivi principali che mi hanno spinto a sceglierlo sono quelli detti sopra.

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Brevi aggiornamenti

Questa settimana nessuna nuova strategia, non tanto per mia mancanza di tempo, ma soprattutto perché io continuo a ritenere che questo rimbalzo a V, quantomeno nel breve termine, non possa durare ancora per molto e non vedo grosse occasioni, meglio rimanere liquidi ed utilizzare le “cartucce” per un prossimo futuro storno.

Quindi anche io questa settimana non ho effettuato alcuna operazione ed attendo condizioni maggiormente favorevoli del mercato.

Per cui stay tuned e ci aggiorniamo alla prossima settimana!

Fare il 13,8% con un mix di indici e bond USA

Negli ultimi giorni, i mercati finanziari hanno mostrato segnali misti, riflettendo l’incertezza generata dalla strategia commerciale dell’amministrazione Trump e dalla difficile lettura dello scenario macroeconomico globale. Al centro della scena si trovano le tensioni con la Cina, i dati economici distorti e le implicazioni sulle politiche monetarie e fiscali. Mentre alcuni indicatori mostrano resilienza, la volatilità resta alta e la direzione futura appare tutt’altro che chiara.

Nel breve termine io consiglio estrema prudenza perché il recente movimento a V non è assolutamente sostenibile, soprattutto perché fatta a strappi lasciando molti gap aperti. L’indice FTSE-MIB ne è un esempio ma vale anche per gli altri indici:

La politica dei dazi adottata da Trump ha rappresentato un chiaro ritorno al protezionismo. Il team economico presidenziale, guidato da Robert Lighthizer e Peter Navarro, ha dato un’impronta fortemente interventista, puntando a correggere lo squilibrio commerciale con la Cina attraverso tariffe e barriere. Questa impostazione ha segnato una discontinuità rispetto alla dottrina liberista repubblicana degli ultimi decenni, riaffermando l’interesse nazionale sopra l’integrazione globale. La logica è chiara: ridurre la dipendenza americana dalle importazioni, riequilibrare il deficit commerciale e rilocalizzare la produzione interna. Tuttavia, le conseguenze di questa scelta si stanno manifestando in modo complesso, sia in termini economici che geopolitici.

Va inoltre sempre ricordato che, se magari gli USA, forse, possono permettersi, per puri motivi di contrapposizione geopolitica, tentare di isolare commercialmente la Cina, non possono assolutamente rinunciare al loro ruolo di “compratore globale di ultima istanza”, ossia continuerà ad avere un deficit commerciale strutturale, Trump o non Trump.

D’altronde l’economia americana, pur non avendo ancora subito un vero rallentamento, mostra segnali ambigui. Come sottolinea Alessandro Fugnoli in un recente articolo, molti dati macroeconomici sono difficili da interpretare, anche per la loro raccolta asincrona. Ad esempio, un dato positivo potrebbe riflettere la corsa agli acquisti per anticipare gli effetti dei dazi, e non una reale solidità dell’economia. Inoltre, l’impatto dei dazi si configura come uno shock da offerta, diverso da quello causato dalla pandemia di Covid-19: non esiste un forte supporto monetario e fiscale e la previsione è di una crescita più debole accompagnata da una bassa inflazione.

In parallelo, la Cina resta l’incognita più rilevante. Da un lato, l’economia cinese non si è fermata e continua a crescere, sebbene con una certa fragilità. Dall’altro, la resistenza reciproca di Stati Uniti e Cina rischia di trasformarsi in un lungo stallo negoziale, con esiti imprevedibili. Entrambi i paesi sembrano sopravvalutare la propria capacità di resistere a un eventuale embargo incrociato, e sottovalutano gli effetti sistemici sulle catene di fornitura globali. Le trattative potrebbero comunque sbloccarsi, magari con una moratoria sulle misure restrittive, qualora emergesse una volontà politica comune di rassicurare i mercati.

Intanto, la risposta delle autorità americane mostra sfumature contrastanti. La Federal Reserve, almeno ufficialmente, mantiene un atteggiamento freddo e prudente. Le recenti parole di Christopher Waller, che ha aperto a possibili tagli dei tassi in caso di peggioramento del mercato del lavoro, vanno lette anche in chiave politica: Waller è uno dei candidati a succedere a Jerome Powell e potrebbe voler guadagnare consensi interni alla Casa Bianca. Al contrario, l’amministrazione Trump sembra oggi più attenta al comportamento dei mercati finanziari rispetto al passato, pronta a intervenire per sostenere i corsi azionari in caso di debolezza.

Sul fronte operativo, emerge una preferenza per le borse europee, considerate relativamente più resilienti rispetto a quelle americane e asiatiche. Anche l’euro appare in fase di consolidamento e potrebbe rafforzarsi ulteriormente, mentre i bond europei beneficiano nel breve termine delle pressioni deflazionistiche. I titoli obbligazionari in dollari sono invece da gestire con prudenza, privilegiando le scadenze brevi in attesa di sviluppi sulla curva dei rendimenti. L’oro, infine, mantiene un ruolo difensivo, sostenuto dalla continua domanda cinese. Il grafico sottostante penso sia abbastanza esplicativo:

Nel contesto appenda descritto io personalmente sto approfittando di questo momento di rimbalzo per liquidare alcune azioni a favore di liquidità, oro in hedge con euro e certificati.

Quello che segue è tra quelli che sto monitorando.

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