Inflazione, fine delle politiche espansive ed altre trappole

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Questo è il mio primo  post in un caldo giorno d’Agosto, ce ne saranno altri? Speriamo di sì, per adesso diciamo che l’avventura comincia.

Se vorrete continuare a seguirmi, io spero di sì, con il tempo impareremo a conoscerci. Quindi non vi annoierò con lunghe presentazioni perché il nostro modo di procedere sarà estremamente semplice: analizzare i dati e la realtà per poi investire di conseguenza, evitando così di essere in mezzo al parco buoi e venire macellati alla prima occasione. Quello che mi accingo a raccontarvi è il primo esempio.

Tutto è partito dall’ascoltare all’infinito, in maniera quasi ossessiva, questa cantilena: “La ripresa è ormai consolidata in EU” “I tassi d’interesse sono troppo bassi, la politica espansiva della BCE deve terminare”, “A breve Draghi inizierà il tapering” “Ormai stiamo entrando in un periodo di reflazione” ed altre amenità del genere. A questo punto mi sono chiesto: ma la BCE non ha come unico obiettivo il controllo dell’inflazione sotto il 2%? Beh, mi sono detto, se è così ci terremo i tassi d’interesse bassi ancora a lungo (salvo shock esterni molto poco probabili che vedremo poi…). Partiamo dal grafico qui sotto che riporta il tasso di disoccupazione (linea blu) e quello di crescita dei salari (linea nera tratteggiata).

source: tradingeconomics.com

Ci dice qualcosa questo grafico? Secondo me molto. La serie che indica la crescita dei salari è più recente di quella della disoccupazione, ma a noi basta vedere cosa sia successo dopo il 2008 per capire come funzionano le crisi sul mercato del lavoro.

2008: Tocchiamo un minimo di disoccupazione. Arrivano i sub-prime e la curva della disoccupazione non fa altro che crescere fino al 2011. Con un po’ di ritardo le retribuzioni seguono inversamente a ruota: la crescita dei salari si comprime.

Poi arriva la crisi del debito sovrano Greco (e poi dei cosiddetti PIIGS) e voliamo un po’ sopra al 12% di disoccupazione e le retribuzioni anche in questo caso seguono. A fine luglio 2012 arriva il famoso “whatever it takes” ed effettivamente le cose per l’occupazione migliorano fino a raggiungere quasi il 9% didisoccupazione attuale. Ma ai salari cos’è successo? Non dicevamo che seguivano inversamente il tasso di disoccupazione? Qui invece vediamo che la crescita dei salari addirittura fa dei massimi decrescenti fin dalla fine del 2011!

Una parte della spiegazione la trovate in questo articolo . L’altra parte si chiama semplicemente: RIFORME! Sì quelle cose che vi sentite continuamente dire ci sia sempre bisogno. Ma cosa sono in pratica? Semplice: SVALUTAZIONE INTERNA. Ossia? Nell’eurozona vige un sistema a cambi fissi (che è diverso da avere una moneta unica in area valutaria ottimale), ciò significa che ogni recupero di competitività va effettuata comprimendo i sari. Ogni paese della zona euro ha infatti, dopo il 2012, implementato politiche di compressione salariale (in Italia abbiamo avuto il Job Act ad esempio), l’ultimo di questi sarà la Francia di Macron che tirerà giù ulteriormente la curva in nero.

OK, ma in fondo cosa ci interessa? Noi vogliamo giusto sapere come allocare i nostri soldi (pochi o tanti che siano). Ci arriviamo subito con il secondo grafico:


source: tradingeconomics.com
Qui la correlazione è molto più chiara giusto? Vedete come l’inflazione core (linea blu) segue quella nera addirittura schiacciandosi nelle fasi di crescita ed abbassandosi linearmente nelle fasi discendenti. Questa è un’ulteriore conferma che, in un contesto di insicurezza, si tende a risparmiare piuttosto che utilizzare gli aumenti in consumi.

Quindi cosa sappiamo?

  1. Che anche se la disoccupazione dovesse diminuire (ritengo che grosse ulteriori diminuzioni non avverranno nel prossimo biennio) i salari non aumenteranno proporzionalmente.
  2. Che la stessa inflazione core tende a smussare gli spike verso l’alto dei salari.

Conclusioni:

  1. Ci sono molte più probabilità che l’inflazione rimanga stabile o diminuisca: scartiamo quindi ogni prodotto obbligazionario “inflation linked”.
  2. I tassi rimarranno forzatamente bassi: alzare un po’ il livello di rischio è quasi una scelta obbligata.

Come accennato all’inizio ci sono un paio di eventi esterni all’UE che però potrebbero influire sull’inflazione.

Il primo è la tensione geopolitica tra USA e Corea del Nord. Trattandosi di geopolitica, addentrarsi in questo possibile scenario esula dalle competenze di questo blog, diciamo solo che nelle nostre scelte d’investimento diminuiremo un po’ la probabilità dello scenario prima illustrato.

Il secondo è un classico: il prezzo del petrolio. Su questo possiamo dire prima di tutto che le oscillazioni del petrolio hanno un effetto ridotto sull’inflazione core. Si può anche sostenere che la resistenza a 50$ sul crude oil sembra tenere ed inoltre se il prezzo dovesse superare tale livello è molto probabile che la produzione di shale oil aumenti calmierando così un’eventuale salita dei prezzi.

A questo punto, se siamo interessati ad un portafoglio obbligazionario (bassa volatilità e cedole periodiche più o meno stabili) abbiamo due prodotti con basse commissioni che fanno al caso nostro:

 

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