Nuovi strumenti per la solita situazione italiana

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Vi abbiamo lasciato per una settimana e di cose ne sono successe. Partiamo dalle vicende italiane: ci verrebbe semplicemente da dire “chi è causa del suo male pianga se stesso”.

Le recenti elezioni europee hanno messo ancora più all’angolo la posizione italiana. Ricordiamo che chi millanta di “cambiare l’Europa” si troverà nel parlamento europeo miseramente relegato all’opposizione con una maggioranza che, con tutta probabilità, sarà anche più intransigente della precedente vista l’entrata in maggioranza del gruppo ALDE.

In questo contesto, con un sistema “de facto” a cambi fissi come l’Euro, in cui ogni stato però emette il proprio debito senza nemmeno che ci sia garanzia di un prestatore di ultima istanza, mettersi a fare politiche espansive in deficit è un gioco “lose-lose”. Sembra infatti che “the european changer” sia tornato alla carica con la flat-tax (che poi flat non sarebbe), per quanto ci riguarda riportiamo le parole scritte da un economista qualche hanno fa:

“…il fatto che la casistica sulla quale valutare simili riforme è ancora ristretta, per cui i risultati presentano ampi margini di incertezza; il fatto che gli studi che promettono miracoli (crescita, recupero dell’evasione) si basano su modelli di equilibrio generale controversi (guarda caso, simili a quelli usati per valutare il TTIP); infine, volando più basso, il fatto che di solito la flat tax porta a un calo del gettito dell’imposta sul reddito, cui si supplisce o con una patrimoniale (come a Hong Kong), o con imposte indirette (come nell’Est Europa). La prima soluzione è esclusa dalla Lega, che si schiera, non senza motivi, contro la retorica pikettiana del tassare i “grandi patrimoni”, che poi, caro lettore, sarebbero il tuo e il mio (i ricchi veri sono evanescenti per il fisco).

La seconda soluzione sarebbe regressiva (ma ricordo che l’Iva sta aumentando ovunque perché “ce lo chiede l’Europa!”)”.

Lascio ai lettori il piacere di scoprire chi sia l’autore e che fine abbia fatto a qualche anno di distanza. In questo modo pensiamo vi possiate fare un’idea vostra sui possibili sviluppi futuri della situazione italiana.

Sono ormai un paio di mesi che predichiamo prudenza consigliando strumenti di copertura per chi può lavorare sui certificate (approfondiremo tale aspetto a breve) e rivedendo il Portafoglio Italia in ottica maggiormente difensiva. Aver fatto uscire due finanziari ed ENI a favore di un’utility, una telecom ed un lusso ha sicuramente pagato. I numeri parlano chiaro, nelle due settimane trascorse il FTSE-MIB ha fatto -3,45% e -2,82% (circa -6,27%), mentre il Portafoglio Italia ha fatto +0,77% e -2,17% (circa -1,4%). Per un portafoglio che si prefigge stabilità dei prezzi e rendimento da cedola possiamo sicuramente ritenerci soddisfatti, soprattutto se si guarda alla performance da inizio anno: +11,8%.

Torniamo invece ora ai certificate consigliati nei post precedenti, tutti in ottica reverse. Era già successo che il crollo del titolo Juventus ci permettesse di riscuotere il nostro bonus in largo anticipo. Anche questa volta, per chi vuole, si può fare la medesima cosa visto che le strategie su STM e Banco BPM hanno ormai raggiunto il bonus e possiamo prendere profitto per un 8% circa a certificate per cominciare a reinvestire solo una parte del capitale così liberato in un altro certificate che rappresenta una nuova tipologia recentemente strutturata da parte di Unicredit.

La tipologia di prodotto prende il nome di stock bonus, il sottostante è ENI ed ha le seguenti caratteristiche:

Per analizzare il sottostante in questo caso ci conviene dare un’occhiata al petrolio (WTI):

Come vedete nelle ultime due sedute il petrolio ha subito un brusco arretramento dei prezzi fino agli attuali 53,50$ al barile. Ci sono rumors che indicano la causa di un tale crollo dei prezzi in una strategia messa in atto dalla Cina nell’ambito dell’ormai famoso negoziato USA-Cina. Sembra infatti che nei mesi scorsi la Cina abbia acquistato molto più petrolio del necessario e che ora stia inondando il mercato in modo tale da farne crollare il prezzo mettendo in crisi i produttori americani. Non sappiamo se ciò sia vero oppure no, ma se lo fosse potremmo affermare che sia una strategia di breve respiro perché un consumatore netto di petrolio non ha abbastanza riserve per continuare a vendere e perché i paesi produttori (OPEC in testa) non rimarrebbero sicuramente a guardare. Qualche anno fa anche l’Arabia Saudita provò ad attuare una strategia simile e, pur avendo molte più frecce al suo arco rispetto alla Cina, sappiamo come sia andata a finire.

Come potete vedere tra i 51$ e 49.5$ c’è una zona di forte resistenza che, ammesso che dovesse essere raggiunta, dovrebbe tenere per un po’ di tempo. Anche quando a dicembre 2018 tale zona è stata rotta i prezzi si sono prontamente riportati sopra.

Il nostro sottostante, ENI, è sicuramente legato al prezzo del petrolio ma le sue attività sono molto più articolate, non si occupa solo di estrazione, ma anche di GAS, esplorazione ed altro. Vediamo quindi come la dinamica dei prezzi del titolo si inquadra nei livelli del certificate:

Siamo ad un livello, attorno ai 13,50€, che, a nostro avviso, rappresenta un ottimo prezzo sia livello tecnico che a livello fondamentale. Il rendimento da dividendo si attesta a circa il 5,5% ed il P/E è attorno ad 11. Dal punto di vista tecnico siamo proprio sui minimi del 2018 e per vedere prezzi inferiori agli attuali bisogna tornare indietro fino agli ultimi mesi del 2015 come si può notare dal grafico mensile:

Analizziamo infine le caratteristiche del certificate. Partiamo dalla barriera: gli 11€ sono una barriera profonda toccata solo una volta per pochissimo tempo proprio a fine 2015. Mancano inoltre alla scadenza solo 6 mesi e mezzo e la distanza dalla barriera è di poco più del 22%.

Abbiamo acquistato il certificate a 22,13€ ed essendo il bonus a 25€, il rendimento potenziale è di circa il 13% (poco memo del 26% annuo), un ottimo rendimento se pensate alla breve scadenza ed alla distanza dalla barriera. Dove sta quindi la “fregatura”? Non si tratta di fregatura, bensì della struttura di questi nuovi certificate nominati Stock Bonus. Essi funzionano come i bonus cap che già ben conosciamo, con la differenza che i loro prezzi non sono normalizzati a 100€, bensì sono riferiti al prezzo del sottostante. Cosa significa? Significa che se ENI dovesse toccare gli 11€ anche il certificate si allineerebbe a tale prezzo. Tale meccanismo rende più evidente quanto stiate pagando il vantaggio di avere una barriera rispetto all’acquisto diretto del sottostante. Il conto è presto fatto: il titolo è a 13,58€, il certificate è a 22,13€, ciò significa che stiamo pagando un sovraprezzo del 16,3% per garantirci una protezione del 22% (ossia la distanza dalla barriera).

Si tratta sicuramente di un prodotto estremamente aggressivo, adatto solo a coloro che si sentono in grado di sopportare un potenziale rischio elevato. D’altro canto riteniamo che il livello della barriera sia posta ad un prezzo tale da rendere la sua violazione altamente improbabili.

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