Proteggersi fino al -70% di ribasso!

Rieccoci dopo le vacanze pasquali a cercare nuove strategie.

In questo articolo mi sono concentrato su come sostituire il certificato presentato nell’articolo “Tre banche europee per oltre il 16% all’anno” che è andato ormai in scadenza anticipato.

Per chi se lo fosse perso, consiglio anche di leggere “Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari” perché la recente ritirata di Trump sui dazi alla Cina sembra essere una delle conseguenze delle argomentazioni scritte in tale articolo.

Con la scadenza del certificato DE000UG1U4Q2, analizzato in un precedente articolo su investmentengineering.it, gli investitori possono essere alla ricerca di nuove opportunità per reinvestire la liquidità.

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Tra le alternative ho trovato il certificato con ISIN IT0006767872, un prodotto che combina rendimento e protezione, ma con caratteristiche distintive rispetto al predecessore. In questo articolo analizzeremo le sue peculiarità, lo confronteremo con DE000UG1U4Q2 e valuteremo se possa rappresentare una scelta valida, considerando in particolare l’impatto di un maggior numero di sottostanti in un contesto “worst of”.

Premetto che mi sto spostando su un prodotto complessivamente più difensivo del precedente perché non mi fido del recente rimbalzo.

Descrizione del Certificato

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Guadagnare fino al 22% annualizzato grazie alle follie altrui

Ne avrei fatto volentieri a meno ma questa settimana non posso esimermi dal commentare anche io cosa stia succedendo sul fronte di dazi e della alta volatilità provocata da Trump. Sapete che di solito sono molto moderato nei toni, ma questa volta permettetemi di cambiare registro perché certe cose non si possono più né ascoltare né vedere.

Facciamo un po’ di riassunto sulle idee che sono passate per questo blog. Inizio ad esempio con il riportare un articolo dove si parlava della de-dollarizzazione e di quali effetti questo fenomeno avrebbe avuto sui prezzi dell’oro. La cronaca delle ultime settimane penso che sia stata la più palese conferma di questa visione.

Molti si chiedono come mai i tassi dei T-bond americani salgano (il trentennale è arrivato a sfiorare il 5%) ed il dollaro si deprezzi. Esattamente perché molti stanno entrando nell’ottica che il dollaro non sarà più moneta di riserva privilegiata come lo è stata dopo la fine degli accordi di Bretton Woods.

Questo era cominciato ad essere intuibile quando le sanzioni contro la Russia avevano bloccato i conti in dollari, ma lo sta diventando evidente nel tentativo, disperato e fallimentare, di riequilibrare La bilancia commerciale degli Stati Uniti da parte di Trump.

Un impero che rinuncia ad avere un surplus monetario, a fronte quindi di un deficit commerciale, smetterebbe di essere tale. Ora potrebbe anche darsi che Trump si riveli storicamente come un Gorbacëv in salsa

yankee ma sarebbe troppo bello per essere vero.

La retromarcia fatta nel giro di qualche giorno sui dazi al resto del mondo ne è una conferma.

È notizia di ieri sera che addirittura sono stati tolti i dazi anche per la Cina per quanto riguarda i prodotti tecnologici. Domani quindi in apertura ad esempio aspettatevi che un titolo come STM venga sospeso in asta di apertura per eccesso di rialzo.

Faccio notare inoltre che mantenere i dazi sulla sola Cina è sostanzialmente inutile vista la sua integrazione nella catena della produzione globale.

E qui adesso veniamo a quello che succederà: vedrete che nei prossimi giorni passeremo dal nemico russo a quello che cinese in men che non si dica. Della serie ” come stare sempre dalla parte sbagliata della storia”.

Infatti una classe dirigente degna di questo nome, sfrutterebbe immediatamente questa occasione per emanciparsi dal dominio di un impero in decadenza per trovare nuovi sbocchi economici, industriali e geopolitici per il proprio paese.

La prima iniziativa che si dovrebbe prendere sarebbe quella di ripristinare la via della seta, annullata da questo governo, per aggraziarsi non solo al sistema produttivo cinese (di gran lunga il primo al mondo), ma a tutto il blocco euro-asiatico che sarà il futuro dei decenni a venire.

Ricordo anche che la Cina attuale dipende molto meno dalle sue esportazioni di quanto non lo facesse 20 anni fa ma anche rispetto a paesi come l’Italia o la Germania.

Italia: 33,73% (sul PIL)

Germania: 42,1% (sul PIL)

Cina: 19.72% (sul PIL)

Quindi, quando sentirete castronerie sulla sovra-produzione cinese, ricordatevi questi dati.

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Guadagno oltre il 17% e protezione fino al 50% dei ribassi: oggi è possibile

Vista la poca personale disponibilità di tempo questa settimana, a cui si somma l’entra in vigore dell’ora legale, eviterò il solito riassunto della settimana ed andrò direttamente alla presentazione del certificato.

Vi dico solo, al volo, che ora, dopo aver accumulato molta liquidità come ho scritto in praticamente tutti i post degli ultimi mesi, sto entrando con un tasso constante settimanale su prodotti che ritengo interessante. Quello che segue è uno di questi in cui sono entrato proprio alla chiusura di venerdì.

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Partiamo dai dettagli principali:

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Volare a più del 12% all’anno

Sembra che, mentre i mercati finanziari attendono con ansia l’annuncio del 2 aprile da parte dell’amministrazione Trump, il dibattito su dove convenga investire si fa sempre più acceso. La dichiarazione di Trump, che prevede nuove tariffe per riportare “soldi e rispetto” agli Stati Uniti, ha generato un clima di sospensione, con Wall Street che fatica a trovare una direzione chiara. Dopo settimane di ribassi, il mercato azionario ha segnato un lieve recupero, ma senza slanci significativi.

A pesare su questa incertezza è anche il rallentamento degli utili aziendali. Colossi come FedEx e Nike hanno presentato prospettive inferiori alle attese, attribuibili in parte al clima di instabilità politica ed economica. La Federal Reserve ha risposto a questo scenario lasciando invariati i tassi di interesse, ma ha rivisto al ribasso le stime di crescita del PIL per il 2025, alzando al contempo le previsioni di inflazione.

Diciamo inoltre che, a livello di stagionalità, dovremmo essere verso la fine del ciclo ribassista e, per chi come me ha in questi ultimi mesi accumulato liquidità, è arrivato il momento di iniziare a rientrare con gradualità, con gli strumenti giusti e soprattutto attendendo i segnali d’inversione di tendenza.

Di fronte a questa situazione, l’Europa ha preso una strada diversa, con la Germania che ha varato un massiccio piano di stimoli fiscali. L’approvazione di un pacchetto da 500 miliardi di euro per le infrastrutture e un aumento delle spese per la difesa fino al 3% del PIL testimoniano un cambio di rotta significativo. Si stima che il totale degli stimoli fiscali possa raggiungere i 1000 miliardi di euro nei prossimi anni, segnando una svolta per un Paese storicamente vincolato a politiche fiscali restrittive.

Queste misure stanno già influenzando i mercati finanziari, con gli investitori che si riversano sui titoli del settore della difesa. Tuttavia, l’entusiasmo rischia di alimentare una bolla speculativa, con alcune azioni che hanno già moltiplicato il loro valore fino a dieci volte dall’inizio del conflitto in Ucraina. Sapete che, in tempi non sospetti, in questo blog sono state suggerite diverse strategie su questo settore, ma ora sto riducendo l’esposizione o vendendo metà delle esposizioni dirette come azioni o tracker, o portando in autocall i certificati e non rinnovandoli.

Sempre in Europa, la BCE si trova ad affrontare nuove pressioni, che potrebbero limitare ulteriori tagli ai tassi d’interesse.

Se da un lato l’America continua a essere una destinazione privilegiata per gli investitori globali, dall’altro emergono rischi significativi. Secondo alcuni analisti, le politiche economiche di Trump potrebbero accelerare un processo di trasformazione radicale, simile a quello avviato da Krushchev e Gorbaciov nell’URSS. La riforma dei rapporti economici e il protezionismo potrebbero avere effetti imprevedibili, con il rischio di un’erosione del ruolo dominante del dollaro e una maggiore volatilità dei mercati.

La sovrapposizione tra un mercato azionario sopravvalutato e un dollaro artificialmente forte potrebbe generare un’ulteriore instabilità. Un’eventuale perdita di fiducia nel debito statunitense, combinata con tensioni geopolitiche, potrebbe tradursi in un’accelerazione della fuga di capitali.

La strategia di questa settimana investe proprio sul settore che per definizione unisce i vari continenti: quello del trasporto aereo.

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L’incidente verificatosi all’aeroporto di Heathrow ha portato volatilità sul settore che merita di essere sfruttata, ma sempre con molta prudenza come il prodotto riportato ci permette:

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La spesa del carrello americana per un 10% all’anno

L’attuale scenario globale sta attraversando un periodo di profonde trasformazioni geopolitiche ed economiche, con implicazioni che si estendono dai mercati finanziari alle relazioni tra le grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione, stanno ridefinendo la propria strategia internazionale con un approccio che distingue chiaramente tra alleati e avversari, ma con una logica più complessa rispetto al passato. Da un lato, emergono sempre più forti le tensioni con la Cina, considerata il vero concorrente strategico, mentre dall’altro si delinea un nuovo rapporto con la Russia, che potrebbe rientrare in una prospettiva di distensione condizionata.

La politica estera americana sembra essere guidata da una visione che contrappone il mondo globalista, incarnato da Europa e Canada, a quello sovranista e nazionalista che l’amministrazione attuale intende promuovere. In questo contesto, il conflitto in Ucraina diventa un nodo centrale: mentre Washington esplora la possibilità di un accordo con Mosca, allontanandosi progressivamente dal sostegno incondizionato a Kiev, l’Europa si trova sempre più isolata nella sua posizione di supporto al governo Zelensky. Questa distanza si riflette nelle difficoltà dei negoziati, che si stanno svolgendo senza il coinvolgimento diretto delle autorità europee, alimentando tensioni e incertezze nel Vecchio Continente.

Parallelamente, il panorama economico statunitense mostra segni di rallentamento. L’ottimismo che aveva caratterizzato l’inizio dell’anno sta lasciando spazio a crescenti timori legati alle politiche fiscali e commerciali. La possibilità di un grande accordo monetario, simile al Plaza Accord degli anni Ottanta, è tra le ipotesi che circolano nei circoli economici, suggerendo una possibile ristrutturazione del sistema finanziario globale. L’idea di condividere l’onere della valuta di riserva con altre economie avanzate potrebbe ridisegnare gli equilibri monetari internazionali e cambiare il peso specifico del dollaro sui mercati globali.

In Europa, la situazione appare complessa e caratterizzata da una crescente necessità di autonomia strategica. Con un legame sempre più fragile con gli Stati Uniti, il continente si trova davanti a scelte difficili: aumentare la spesa per la difesa, cercare nuovi partner commerciali o rafforzare la propria competitività tecnologica. In quest’ottica, la Cina diventa un attore sempre più rilevante. Il gigante asiatico sta attraversando una fase di consolidamento interno, con il governo che ha deciso di abbandonare l’atteggiamento ostile nei confronti delle grandi aziende private e di rilanciare il settore tecnologico come motore della crescita. Il recente incontro tra i leader delle principali aziende tecnologiche cinesi e le autorità governative ha rappresentato un chiaro segnale in questa direzione, con effetti immediati sui mercati finanziari e sulle aspettative di crescita del settore.

L’insieme di questi fattori sta creando un contesto in cui l’incertezza gioca un ruolo determinante. Le imprese faticano a pianificare gli investimenti in un ambiente in cui le politiche economiche possono cambiare rapidamente, e la stessa politica monetaria delle principali banche centrali sembra destinata a subire continue revisioni per adattarsi a uno scenario in evoluzione. L’Europa, dal canto suo, deve trovare un equilibrio tra la necessità di mantenere solide relazioni transatlantiche e la crescente attrazione di nuovi mercati e alleanze alternative.

Il futuro prossimo sarà caratterizzato da un difficile processo di ridefinizione degli assetti globali. I mercati finanziari stanno già scontando le conseguenze di questi mutamenti, con una volatilità crescente e un’attenzione sempre maggiore ai segnali provenienti dai governi e dalle istituzioni internazionali. Tra riallineamenti geopolitici, strategie economiche in trasformazione e la necessità di rispondere a nuove sfide, il mondo si trova di fronte a una fase di transizione che potrebbe ridefinire le regole del gioco per gli anni a venire.

In questo contesto la mia prudenza è massima e, rimanendo un po’ alla finestra, sto monitorando dei certificati estremamente resilienti anche in future condizioni avverse.

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Il certificato della settimana ha come sottostanti tre colossi della grande distribuzione americana, due dei quali penso che difficilmente siano presenti nei portafogli di molti. Ecco le caratteristiche:

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BPER Banca per oltre il 10% annuo

L’attuale scenario internazionale si configura come un complesso intreccio di politiche commerciali, tensioni geopolitiche e sfide economiche, in cui le scelte in ambito tariffario e monetario stanno tracciando la rotta di una nuova era post-bellica. Da un lato, l’amministrazione Trump ha cercato di imporre un regime di tariffe “reciproche” – riassunto nella celebre formula “Whatever Countries charge the United States of America, we will charge them – No more, no less!” – con l’obiettivo di replicare le misure commerciali adottate dagli altri Paesi. Tale strategia non si limita a colpire le tariffe classiche, ma si estende anche alle barriere non tariffarie, come i sussidi sleali, i regolamenti discriminatori e, in particolare, l’IVA, che in Europa raggiunge una media del 21,8%. Questa misura potrebbe avere ripercussioni notevoli sul commercio internazionale, evidenziando una profonda divergenza di approcci tra la leadership statunitense e quella europea, dove la frammentazione dei governi nazionali complica una risposta unitaria.

Parallelamente, il panorama economico è segnato dall’evolversi della dinamica inflazionistica in un dopoguerra che, a differenza dei precedenti, non garantisce un immediato ritorno alla stabilità dei prezzi. Sebbene la tradizione storica suggerisca che la pace porti a una disinflazione, l’esperienza degli Stati Uniti nel 1946-47 ha dimostrato come il passaggio dalla guerra alla pace possa innescare ondate inflazionistiche significative. Oggi, l’inflazione statunitense si attesta attorno al 3% – con un’attenzione particolare alla componente core che raggiunge il 3,3% – evidenziando che il decollo dei prezzi, pur moderato, è un fenomeno da monitorare attentamente per evitare un’autoalimentazione delle aspettative inflazionistiche.

Un’immagine che mi è stata inviata da una persona che stimo molto, mi ha fatto notare un’analogia inquietante con l’andamento dell’inflazione degli anni ‘70. Meditate gente, meditate:

Il contesto geopolitico aggiunge ulteriori complessità: mentre gli USA avanzano nel loro dialogo diretto con attori come Putin, escludendo l’Europa da certi canali di negoziazione, quest’ultima si trova a dover rinegoziare non solo le proprie politiche tariffarie ma anche a fronteggiare la necessità di un riarmo e di un incremento della spesa militare. La pressione degli Stati Uniti, che richiede all’Europa un impegno in termini di capacità difensiva, si accompagna alla prospettiva di sanzioni tariffarie in caso di mancata collaborazione. Allo stesso tempo, sia in Europa che in altre grandi economie, l’espansione della spesa pubblica per armamenti e per la ricostruzione post-conflitto viene finanziata principalmente attraverso l’indebitamento, in un contesto politico in cui nuove tasse risultano impopolari e difficili da introdurre.

In definitiva, il mosaico internazionale si presenta come una rete intricata di decisioni strategiche, dove le politiche protezionistiche e le misure di stimolo economico devono bilanciarsi per contenere l’inflazione senza frenare la crescita. Le banche centrali, da parte loro, sembrano disposte a tollerare un’inflazione attorno al 3% per sostenere il percorso di espansione, pur rimanendo vigili sul rischio di un’ulteriore divergenza delle aspettative. Tale equilibrio delicato tra commercio, sicurezza e politica monetaria definisce la sfida di un dopoguerra che si distingue nettamente dalle esperienze passate.

Data questa situazione, io sto aumentando ancor di più la componente di liquidità o liquidabile in poco tempo. Per il resto apro solo posizioni tattiche come quella di seguito.

Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete “valorizzare” le inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Ogni contributo è un piccolo mattoncino per l’indipendenza di questo blog.

In particolare, mi sto concentrando sul fenomeno dell’aggregazione bancarie ed il prodotto che ho selezionato è il seguente:

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I titoli di stato USA per oltre il 13%

La Banca Centrale Europea ha deciso di ridurre i tassi d’interesse di 25 punti base, portando il totale dei tagli a 125 punti base. Il tasso sui depositi è ora fissato al 2,75%, segnando una divergenza rispetto alla Federal Reserve, che ha scelto di mantenere invariata la propria politica monetaria. Questa scelta della BCE riflette la debolezza dell’economia europea, con i dati sul PIL del quarto trimestre 2024 che mostrano una contrazione dello 0,1% in Francia, dello 0,2% in Germania e una crescita nulla in Italia, segnalando una fase di stagnazione.

Christine Lagarde ha riconosciuto che l’inflazione nel settore dei servizi rimane elevata, ma si è detta fiduciosa in un rallentamento della crescita salariale, uno dei principali fattori di pressione sui prezzi. Gli investitori attendevano indicazioni sulla traiettoria futura dei tassi sia in Europa che negli Stati Uniti, e da entrambe le banche centrali è emerso che i tassi restano in territorio restrittivo, lasciando intendere che il ciclo di riduzioni non sia ancora concluso. Negli Stati Uniti si stima un livello di equilibrio intorno al 3%, mentre in Europa Lagarde aveva in precedenza indicato un intervallo compreso tra l’1,75% e il 2,25%. Il 7 febbraio, la BCE pubblicherà un’analisi su questo tema, sebbene si tratti di un concetto teorico, in quanto il livello preciso dei tassi di equilibrio resta incerto.

Negli Stati Uniti, la crescita economica ha deluso le aspettative: il PIL è aumentato del 2,3%, contro il 2,7% atteso. Tuttavia, i mercati non hanno reagito negativamente, grazie alla solida espansione dei consumi, in crescita del 4,2%. Il rallentamento è stato determinato da un calo degli investimenti privati e delle esportazioni, portando la crescita complessiva del PIL per il 2024 al 2,8%, leggermente inferiore al 2,9% registrato nel 2023.

Sul fronte del commercio internazionale, Donald Trump ha confermato l’imposizione di tariffe del 25% su 900 miliardi di dollari di importazioni dal Canada e dal Messico, a partire da domani. Tuttavia, potrebbe escludere il petrolio da queste misure, riducendone così l’impatto complessivo. La reazione dei mercati è stata piuttosto contenuta. Anche nei confronti della Cina potrebbero essere introdotte nuove tariffe, con un’aliquota ipotizzata intorno al 10%.

Nel frattempo, i titoli tecnologici cinesi stanno registrando performance positive, grazie a un atteggiamento meno aggressivo di Trump nei confronti di Pechino e ai progressi nel settore dell’intelligenza artificiale. Alibaba, in particolare, ha guadagnato oltre il 21% dall’inizio dell’anno, dopo aver annunciato un modello di intelligenza artificiale che ha superato le prestazioni di quelli sviluppati da Meta e DeepSeek.

Nella settimana appena conclusa ho trovato un certificato veramente interessante che forse ha un unico difetto: è in bid-only, ossia il liquidity provider (Leonteq Securities) acquista solamente ma non vende più. Malgrado ciò il certificato ha comunque una buona liquidità perché diversi retail continuano a scambiarlo. Io personalmente sono riuscito ad acquistarne un po’ proprio una paio di giorni fa a 1006€.

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Vediamo quindi ora i dettagli del certificato:

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Oltre il 13% per il settore food

Il panorama economico italiano è stato recentemente scosso dall’annuncio di un’Offerta Pubblica di Scambio (OPS) totalitaria da parte del Monte dei Paschi di Siena (MPS) nei confronti di Mediobanca. L’operazione, valutata 13,3 miliardi di euro, prevede un rapporto di concambio di 23 azioni MPS per ogni 10 azioni Mediobanca, offrendo un premio del 5,03% rispetto al prezzo di chiusura del 23 gennaio 2025.

L’amministratore delegato di MPS, Luigi Lovaglio, ha descritto l’operazione come un'”opportunità strategica incredibile”, sottolineando che la fusione porterebbe alla creazione del terzo polo bancario italiano. Tuttavia, alcuni analisti hanno espresso scetticismo riguardo al limitato potenziale di creazione di valore dell’operazione, evidenziando il ruolo di azionisti chiave come Francesco Gaetano Caltagirone e la holding della famiglia Del Vecchio, Delfin, che possiedono partecipazioni significative in entrambe le banche e nell’assicuratore Generali.

Parallelamente, a livello internazionale, l’intervento del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, al World Economic Forum di Davos ha attirato l’attenzione globale. Nel suo discorso, Trump ha criticato le normative europee e ha esortato le aziende straniere a incrementare gli investimenti negli Stati Uniti, minacciando l’imposizione di dazi in caso contrario. Ha inoltre invocato una disposizione fiscale statunitense poco conosciuta per raddoppiare le aliquote sulle entità straniere ritenute discriminatorie nei confronti delle multinazionali americane.

Trump ha anche chiesto una riduzione dei prezzi del petrolio da parte dell’OPEC e dell’Arabia Saudita, suggerendo che ciò potrebbe contribuire a porre fine al conflitto in Ucraina. Inoltre, ha sollecitato le banche centrali globali a ridurre immediatamente i tassi di interesse, sostenendo che tali misure stimolerebbero la crescita economica.

Le reazioni del mercato a queste dichiarazioni sono state immediate: gli indici azionari hanno raggiunto nuovi massimi, i rendimenti dei titoli a 10 anni sono aumentati leggermente e il dollaro ha registrato un calo. Queste dinamiche riflettono la fiducia degli investitori nelle politiche economiche espansive, sebbene esista il rischio di un aumento dell’inflazione e di una possibile svalutazione del dollaro.

In Europa, le dichiarazioni di Trump hanno suscitato preoccupazione. Al World Economic Forum, la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha risposto alle critiche di Trump sulle pratiche commerciali dell’UE, sottolineando l’importanza della negoziazione e del rispetto reciproco. Nel frattempo, leader europei hanno riconosciuto la necessità di riforme strutturali per stimolare la crescita e migliorare la competitività, con particolare attenzione agli investimenti in tecnologia e innovazione.

In Giappone, la Banca del Giappone (BOJ) ha aumentato i tassi di interesse dello 0,25%, portandoli allo 0,50%, il livello più alto degli ultimi 17 anni. Questa decisione, sebbene ampiamente anticipata, è stata interpretata come un segnale di un approccio più restrittivo in risposta alle crescenti previsioni di inflazione. Di conseguenza, lo yen si è apprezzato significativamente rispetto al dollaro, indicando la fiducia del mercato nella politica monetaria giapponese.

In sintesi, mentre il Monte dei Paschi di Siena cerca di rafforzare la propria posizione nel settore bancario italiano attraverso l’OPS su Mediobanca, a livello globale le dichiarazioni di Trump al World Economic Forum stanno influenzando le dinamiche economiche e politiche. Le reazioni dei mercati e le risposte dei leader internazionali evidenziano le sfide e le opportunità di un’economia sempre più interconnessa, dove le decisioni di un singolo attore possono avere ripercussioni su scala mondiale.

In questa situazione io sto aumentando la mia liquidità al 13% ed ogni acquisto è fatto in ottica di estrema prudenza e diversificazione. Il certificato di questa settimana va proprio in questo senso.

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Il certificato della settimana ha come sottostanti quattro titoli del settore alimentare. Non c’è bisogno di dirlo, questo settore è tra quelli che meno risente delle tensioni sopra descritte.

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Il settore auto per oltre il 12%

La settimana appena conclusa si è rivelata rassicurante per i mercati finanziari. Gli operatori hanno accolto positivamente i dati sull’inflazione, risultati leggermente inferiori alle aspettative. Per fortuna, non si è verificato l’atteso aumento sopra le previsioni che avrebbe potuto bloccare il ciclo di tagli dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve. Sebbene alcuni analisti avessero ipotizzato nuovi rialzi, l’ipotesi di due tagli nel prossimo anno torna ora ad essere plausibile.

Un elemento ulteriore di stabilità è stato il confronto al Senato per la conferma di Scott Bessent come Segretario al Tesoro, designato da Donald Trump. I toni dell’audizione sono stati distesi, grazie anche alla reputazione di competenza e capacità di Bessent, che ha suscitato meno perplessità rispetto ad altre nomine dell’ex presidente. Nel suo intervento, Bessent ha sottolineato l’importanza di mantenere i tagli fiscali del 2017, avvertendo che un loro annullamento potrebbe innescare una crisi economica.

Bessent ha inoltre fornito un’analisi interessante sull’impatto delle tariffe doganali, spiegando che un incremento del 10% delle tariffe genera un apprezzamento del dollaro pari al 4%, mentre il resto dell’impatto si distribuisce tra cambiamenti nelle preferenze dei consumatori e ribassi dei prezzi da parte degli esportatori. Questa interpretazione sembra già riflettersi sui mercati valutari, dove l’euro e la valuta cinese hanno subito un deprezzamento vicino al 4% dopo la rielezione di Trump.

La prossima settimana potrebbe però segnare un ritorno della volatilita. Lunedì è previsto l’insediamento ufficiale di Trump, che coinciderà con il Martin Luther King Day (a volte il destino è cinico ed ironico) e la chiusura dei mercati statunitensi. Subito dopo, si attendono i primi ordini esecutivi su temi cruciali come tariffe e immigrazione. Sarà importante valutare sia l’entità delle misure che la loro eventuale gradualità, fattori che incideranno sulle prospettive di inflazione, sul dollaro e sui rapporti internazionali.

Non si esclude che possano emergere nuove iniziative. Trump ha infatti accennato all’istituzione di un “External Revenue Service”, un ente che potrebbe tassare chi trae profitto a scapito degli Stati Uniti. Resta da vedere se questa proposta si limiterà a tariffe o se comporterà ulteriori sviluppi.

Nel frattempo, dalla Cina sono arrivati dati economici superiori alle aspettative. Il Prodotto Interno Lordo del quarto trimestre è cresciuto del 5,4%, contro una previsione del 5%. Anche le vendite al dettaglio e la produzione industriale hanno registrato risultati migliori del previsto, con aumenti rispettivamente del 3,7% e del 6,2%. Le autorità cinesi si sono dichiarate ottimiste sulle prospettive di crescita per il 2025.

La settimana appena trascorsa ha offerto una tregua ai mercati, ma le incognite rimangono numerose. I prossimi giorni saranno cruciali per comprendere la direzione della politica economica statunitense e il suo impatto sui mercati globali. Gli investitori restano pronti a reagire a ogni novità, mentre la volatilità sembra destinata a tornare protagonista.

Chi ha scontato maggiormente questo tipo di dinamiche nell’ultimo anno è sicuramente l’automotive che è stato così “bastonato” che ormai è arrivato a livelli che potrebbero essere interessanti, naturalmente il settore è da approcciare con molta prudenza come nel caso del certificato di questa settimana.

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Il certificato della settimana è il seguente:

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Tre banche europee per oltre il 16% all’anno

Rieccoci finalmente dopo le vacanze di Natale. Visto che è un po’ che non ci sentiamo proverò a fare una sintesi generale degli aspetti salienti dell’attualità economica per poi gettarci sulla prima strategia del 2025.

Il dollaro USA si rafforza grazie ai dati economici positivi

Il dollaro statunitense continua a guadagnare terreno, sostenuto da dati macroeconomici incoraggianti provenienti dagli Stati Uniti. L’indice dei responsabili degli acquisti per il settore dei servizi (PMI) ha sorpreso al rialzo, raggiungendo i 54,1 punti. Questo valore non solo supera le aspettative, ma si posiziona chiaramente al di sopra della soglia di 50 punti che segna il confine tra contrazione ed espansione economica.

Tuttavia, il quadro del mercato del lavoro è meno uniforme: mentre il numero di posti vacanti è aumentato, la creazione di nuovi impieghi è stata inferiore alle attese. Nonostante ciò, l’economia americana dimostra una solidità complessiva. Questo rafforza le aspettative degli investitori che ora ritengono meno probabile un rapido taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve.

Le sfide della BCE tra inflazione e crescita in rallentamento

In Europa, la Banca Centrale Europea si trova a fronteggiare un equilibrio delicato. A dicembre, l’inflazione è salita dal 2,2% al 2,4%, mettendo pressione sulle autorità monetarie affinché riducano i tassi d’interesse più lentamente rispetto a quanto previsto dal mercato. Tuttavia, l’economia dell’Eurozona mostra segnali di indebolimento, con un deterioramento del clima imprenditoriale nello stesso mese.

Le maggiori economie del blocco, come Francia, Germania e Italia, risultano particolarmente colpite da questa fase di incertezza economica. La BCE è quindi chiamata a bilanciare l’esigenza di controllare l’inflazione con quella di sostenere un’economia che mostra segnali di rallentamento.

Petrolio in rialzo: dinamiche di mercato e implicazioni sull’inflazione

Sul fronte energetico, il prezzo del petrolio Brent ha registrato un aumento del 3,7% dall’inizio dell’anno, raggiungendo quota 77,38 dollari al barile. Questo rialzo è attribuibile all’annunciato incremento dei prezzi da parte dell’Arabia Saudita, in seguito alla decisione dell’alleanza OPEC+ di mantenere invariati i livelli di produzione.

Nonostante il recente rialzo, il petrolio non sembra esercitare la stessa pressione inflazionistica dello scorso anno. Il prezzo medio del Brent nel primo trimestre del 2024 era di 81,80 dollari al barile, superiore al livello attuale. Tuttavia, rispetto al trimestre precedente, quando il barile si attestava a 74 dollari, si osserva una tendenza rialzista che potrebbe avere implicazioni nel lungo termine.

Quindi benché l’Eurozona (ammesso e non concesso che possa essere considerata un’unica zona omegena) abbia bisogna di politiche monetarie espansive, dall’altra parte non potrà fare politiche così divergenti dalla FED perché ciò significherebbe indebolire ulteriormente l’euro a favore del dollaro e quindi importare inflazione che a sua volta “costringerebbe” a rialzare i tassi.

Diciamo quindi che non avremo probabilmente tutti quei tagli che ci si poteva aspettare fino a qualche mese fa.

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Se i tassi non diminuiranno quanto previsto significa che il comparto bancario potrà continuare a mantenere alti margini.

Vediamo quindi il certificato:

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