Rieccoci
dopo le vacanze pasquali a cercare nuove strategie.
In questo articolo mi sono concentrato su come sostituire il certificato presentato nell’articolo “Tre banche europee per oltre il 16% all’anno” che è andato ormai in scadenza anticipato.
Per chi se lo fosse perso, consiglio anche di leggere “Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari” perché la recente ritirata di Trump sui dazi alla Cina sembra essere una delle conseguenze delle argomentazioni scritte in tale articolo.
Con
la scadenza del certificato DE000UG1U4Q2, analizzato in un precedente
articolo su investmentengineering.it,
gli investitori possono
essere
alla ricerca di nuove opportunità per reinvestire la liquidità.
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Tra
le alternative ho
trovato
il certificato con ISIN IT0006767872, un prodotto che combina
rendimento e protezione, ma con caratteristiche distintive rispetto
al predecessore. In questo articolo analizzeremo le sue peculiarità,
lo confronteremo con DE000UG1U4Q2 e valuteremo se possa rappresentare
una scelta valida, considerando in particolare l’impatto di un
maggior numero di sottostanti in un contesto “worst of”.
Premetto
che mi sto spostando su un prodotto complessivamente più difensivo
del precedente perché non mi fido del recente rimbalzo.
Questo post “sostituisce” il classico articolo del weekend visto
che ci troviamo nella settimana pasquale e quindi salterà. Ne
approfitto per farvi gli auguri di Buona Pasqua!
Il post che segue è
un po’ diverso dal solito e prendo spunto da un commento di un
lettore (che ringrazio) riguardo il mio ultimo articolo che, seppur
di sfuggita, accennava a quale dovesse essere, a mio avviso, la
postura internazionale dell’Italia e quindi nei confronti della
Cina.
Ci tengo a precisare
che non c’è nessun intento polemico contro il commento stesso,
così come la mia visione può tranquillamente non essere condivisa
da alcuni: io lascerò i commenti aperti facendo affidamento sulla
vostra educazione. Anticipo già che personalmente non risponderò ai
commenti.
Visto che gli
argomenti addotti vanno molto di moda (e lo andranno sempre di più)
in maniera trasversale dagli ambienti ZTL ai suprematisti occidentali
vale la pena dedicargli un post a sé.
Il commento recita
testualmente:
Si,cadiamo in mano a un regime autoritario,che sta rapinando
Paesi emergenti,terreni e terre rare,rubare tecnologie,colpevole del
COVID, sovvenzioni statali alle sue imprese,vendendo in
dumping,ecc.,… può bastare?
Il puzzone si può convincere,e
poi passerà,i comunisti nn cambiano mai,Sic et sempre.
E poi nn
ha proprio tutti i torti:usa ci pagano sicurezza,e noi investiamo in
welfare che loro nn hanno…mi fermo qui
Prima
di entrare nel merito, faccio un po’ di premesse:
Non sono un sinologo
Lungi da me difendere un paese o regime piuttosto che un altro
Stringere accordi o alleanze in qualche campo non significa “cadere
in mano a qualcuno”. Questo approccio è tipico di che dà per
scontato che si debba inevitabilmente sottostare a qualche egemone.
Premesso ciò,
iniziamo. L’articolo sarà un po’ lungo, perciò mettetevi comodi,
ma soprattutto non conterrà nessuna strategia operativa.
Ne avrei fatto volentieri a meno ma questa settimana non posso
esimermi dal commentare anche io cosa stia succedendo sul fronte di
dazi e della alta volatilità provocata da Trump. Sapete che di
solito sono molto moderato nei toni, ma questa volta permettetemi di
cambiare registro perché certe cose non si possono più né
ascoltare né vedere.
Facciamo un po’ di
riassunto sulle idee che sono passate per questo blog. Inizio ad
esempio con il riportare un articolo dove si parlava della
de-dollarizzazione e di quali effetti questo fenomeno avrebbe avuto
sui prezzi dell’oro. La cronaca delle ultime settimane penso che sia
stata la più palese conferma di questa visione.
Molti si chiedono
come mai i tassi dei T-bond americani salgano (il trentennale è
arrivato a sfiorare il 5%) ed il dollaro si deprezzi. Esattamente
perché molti stanno entrando nell’ottica che il dollaro non sarà
più moneta di riserva privilegiata come lo è stata dopo la fine
degli accordi di Bretton Woods.
Questo era
cominciato ad essere intuibile quando le sanzioni contro la Russia
avevano bloccato i conti in dollari, ma lo sta diventando evidente
nel tentativo, disperato e fallimentare, di riequilibrare La bilancia
commerciale degli Stati Uniti da parte di Trump.
Un impero che
rinuncia ad avere un surplus monetario, a fronte quindi di un deficit
commerciale, smetterebbe di essere tale. Ora potrebbe anche darsi che
Trump si riveli storicamente come un Gorbacëv in salsa
yankee ma sarebbe
troppo bello per essere vero.
La retromarcia fatta
nel giro di qualche giorno sui dazi al resto del mondo ne è una
conferma.
È notizia di ieri sera che addirittura sono stati tolti i dazi anche per la Cina per quanto riguarda i prodotti tecnologici. Domani quindi in apertura ad esempio aspettatevi che un titolo come STM venga sospeso in asta di apertura per eccesso di rialzo.
Faccio notare
inoltre che mantenere i dazi sulla sola Cina è sostanzialmente
inutile vista la sua integrazione nella catena della produzione
globale.
E qui adesso veniamo
a quello che succederà: vedrete che nei prossimi giorni passeremo
dal nemico russo a quello che cinese in men che non si dica. Della
serie ” come stare sempre dalla parte sbagliata della storia”.
Infatti una classe
dirigente degna di questo nome, sfrutterebbe immediatamente questa
occasione per emanciparsi dal dominio di un impero in decadenza per
trovare nuovi sbocchi economici, industriali e geopolitici per il
proprio paese.
La prima iniziativa
che si dovrebbe prendere sarebbe quella di ripristinare la via della
seta, annullata da questo governo, per aggraziarsi non solo al
sistema produttivo cinese (di gran lunga il primo al mondo), ma a
tutto il blocco euro-asiatico che sarà il futuro dei decenni a
venire.
Ricordo anche che la
Cina attuale dipende molto meno dalle sue esportazioni di quanto non
lo facesse 20 anni fa ma anche rispetto a paesi come l’Italia o la
Germania.
Italia: 33,73% (sul
PIL)
Germania: 42,1% (sul
PIL)
Cina: 19.72% (sul
PIL)
Quindi, quando
sentirete castronerie sulla sovra-produzione cinese, ricordatevi
questi dati.
Negli
ultimi giorni, i mercati finanziari hanno vissuto un vero e proprio
terremoto, scatenato dall’annuncio dei nuovi dazi imposti da Donald
Trump. Questa decisione ha avuto un impatto immediato su diverse
asset class, generando volatilità e incertezza tra gli investitori.
Le conseguenze economiche e finanziarie di questa mossa si stanno
ancora delineando, ma le prime reazioni indicano un cambiamento
significativo nello scenario globale.
Le politiche protezionistiche adottate da Trump hanno colpito
duramente il commercio internazionale, penalizzando in particolare i
settori manifatturiero e tecnologico. Le aziende statunitensi e
internazionali, che dipendono da catene di approvvigionamento
globali, si trovano ora a dover rivedere le proprie strategie
operative. Il mercato azionario ha reagito con forti ribassi, con i
principali indici che hanno registrato perdite consistenti a causa
delle preoccupazioni per una possibile guerra commerciale su larga
scala.
Anche il mercato obbligazionario ha subito scosse significative. I
rendimenti sui titoli di Stato sono aumentati, riflettendo le
aspettative di un possibile rialzo dell’inflazione dovuto ai costi
aggiuntivi imposti dai dazi. Gli investitori si trovano ora a dover
riequilibrare i propri portafogli, cercando rifugi sicuri per
mitigare l’impatto dell’incertezza economica. I corporate bond,
soprattutto quelli di aziende esposte al commercio internazionale,
hanno subito un ampliamento degli spread, segnalando un aumento del
rischio percepito.
Il mercato valutario ha mostrato forti oscillazioni, con il
dollaro che ha inizialmente guadagnato terreno grazie alla politica
protezionistica, per poi subire correzioni man mano che i timori di
un rallentamento economico si sono diffusi. L’euro e le valute
emergenti hanno subito pressioni, mentre lo yen giapponese e il
franco svizzero sono stati visti come rifugi sicuri dagli
investitori.
Il concetto di “terremoto finanziario” descritto in
questo contesto non è solo una metafora, ma una rappresentazione
accurata della situazione attuale. Il mercato sta attraversando una
fase di profonda incertezza, dove ogni nuova decisione politica può
innescare reazioni a catena difficili da prevedere. Le economie
globali si trovano di fronte a un bivio: da un lato, la possibilità
di un rallentamento dovuto alle barriere commerciali, dall’altro, la
necessità di adattarsi a un nuovo scenario competitivo.
Per gli investitori, la sfida principale sarà gestire questa
volatilità con un approccio prudente e diversificato. La ricerca di
asset resilienti e strategie di copertura diventerà fondamentale per
navigare in questo clima di instabilità. Le prossime settimane
saranno cruciali per capire l’effettivo impatto dei dazi e delle
contromisure adottate dagli altri paesi.
In sintesi, l’annuncio dei dazi di Trump ha scatenato un terremoto
sui mercati finanziari, mettendo in discussione equilibri consolidati
e aprendo scenari inediti per l’economia globale. La capacità di
adattamento e una visione strategica di lungo periodo saranno
essenziali per affrontare le sfide future e cogliere le opportunità
che emergeranno da questo contesto in trasformazione.
Di seguito riporto qual è la mia strategia di lungo termine in
questo contesto. Prima,
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Mercati in bilico tra incertezze politiche ed
economiche
La settimana finanziaria si è chiusa con una nuova ondata di
incertezze per i mercati, dominata dalle politiche
dell’amministrazione Trump e dalle ripercussioni sulle principali
variabili economiche globali. Da un lato, le tensioni sui dazi e le
strategie monetarie statunitensi hanno condizionato Wall Street;
dall’altro, il rallentamento della crescita e il timore di una
possibile stagflazione pongono interrogativi sul futuro
dell’economia.
Il peso dell’incertezza tariffaria
Secondo le analisi sui mercati, Wall Street ha registrato la
quarta settimana consecutiva di ribassi, con il Nasdaq 100 che ha
subito un drawdown del 15% prima di recuperare parzialmente.
L’incertezza legata alle politiche tariffarie di Trump,
caratterizzate da continui annunci e rettifiche, sta penalizzando gli
investitori. L’amministrazione, piuttosto che concentrarsi sui
mercati azionari, sembra dare priorità all’andamento dei
rendimenti obbligazionari, del dollaro e del petrolio.
Nonostante i dati sull’inflazione negli Stati Uniti siano
risultati inferiori alle attese, i mercati non hanno reagito
positivamente. Il motivo è che, mentre i numeri attuali sono
contenuti, le tariffe imposte potrebbero portare a un aumento
generalizzato dei prezzi nei prossimi mesi. Questo effetto potrebbe
essere amplificato dal deprezzamento del dollaro, che renderebbe le
importazioni più costose e aumenterebbe l’inflazione interna.
Parallelamente, l’amministrazione sta valutando l’introduzione
di “military bonds”, obbligazioni a lungo termine o perpetue da
vendere agli alleati per finanziare la difesa statunitense. Questo
strumento potrebbe avere implicazioni rilevanti sui mercati
obbligazionari e sulla strategia fiscale del governo.
Inizialmente, le aspettative sui mercati erano ottimistiche, con
la prospettiva di una crescita sostenuta grazie a tagli fiscali e
politiche di deregolamentazione. Tuttavia, negli ultimi mesi,
l’attenzione si è spostata sugli aspetti negativi, come le
restrizioni all’immigrazione e l’imposizione di dazi su larga
scala.
Di seguito riporto un simpatico grafico che mi ha inviato un
consulente finanziario che ci fa riprendere contatto con la realtà,
con buona pace dei turbo-trampiani che non capivano la differenza tra
i tweet di personaggi eccentrici e le dinamiche geopolitiche e
geoeconomiche:
Uno degli effetti di queste politiche è il rallentamento della
crescita, che avviene in un contesto in cui l’inflazione, pur non
essendo elevata, sta diventando una preoccupazione persistente.
Questo scenario ha alimentato timori di stagflazione, ovvero una
combinazione di crescita lenta e inflazione elevata, che storicamente
ha avuto un impatto negativo sui mercati finanziari.
Questo timore, secondo me, può e deve essere sfruttato per chi ha
una visione di più lungo periodo acquistando obbligazioni su tutta
la curva ed in particolare sulla parte lunga.
Un altro elemento di incertezza è il comportamento della Federal
Reserve. A differenza di periodi passati in cui la banca centrale ha
adottato misure di stimolo in risposta a politiche fiscali
restrittive, l’attuale Fed si mantiene cauta, evitando di
compensare le azioni del governo con tagli ai tassi di interesse.
Questo potrebbe contribuire a un ulteriore rallentamento
dell’economia nei prossimi mesi.
Nonostante la recente correzione dei mercati azionari, il quadro
economico non è del tutto negativo. Alcuni fattori, come le misure
di stimolo adottate da Europa e Cina, potrebbero fornire un supporto
alla crescita globale. Tuttavia, l’introduzione di nuove tariffe,
attese a partire dal 2 aprile, potrebbe portare a una nuova fase di
turbolenza nei mercati.
In sintesi, i mercati restano sospesi tra il peso delle incertezze
politiche e l’attesa di misure concrete che possano stabilizzare lo
scenario economico. L’evoluzione delle politiche tariffarie e
l’atteggiamento della Fed saranno determinanti per capire la
direzione futura dell’economia globale.
Ora secondo me, per
chi come me ha accumulato liquidità fino ad oggi (chi mi segue lo
sa), può essere giunto il momento di iniziare a rientrare sul
mercato gradatamente: scegliendo i titoli giusti e le strategie
giuste.
Fatemi
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Veniamo ora a ciò che è successo nell’ultima settimana di
febbraio, visto che è stata caratterizzata da eventi geopolitici ed
economici di grande impatto. La clamorosa rottura tra Donald Trump e
Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca ha scatenato reazioni immediate
nei mercati e nelle relazioni internazionali. Il presidente ucraino
chiedeva garanzie di difesa dagli Stati Uniti in cambio dell’accordo
sui minerali, ma la risposta americana è stata negativa, portando a
un acceso confronto in mondovisione. La tensione si riflette anche
nei rapporti tra Washington e Bruxelles, con un crescente distacco
tra l’amministrazione Trump e la leadership europea, in particolare
Ursula von der Leyen.
Parallelamente, l’economia statunitense sta affrontando
un’inattesa revisione al ribasso delle stime di crescita. La Federal
Reserve di Atlanta prevede un PIL negativo del -1,5% per il primo
trimestre, in gran parte a causa di una corsa alle importazioni prima
dell’entrata in vigore dei dazi. Il rallentamento è aggravato
dall’incertezza sulle politiche tariffarie e dai tagli al settore
pubblico, che stanno generando un clima di cautela nei consumi.
Tuttavia, alcuni analisti invitano alla prudenza nell’interpretare
questi dati, suggerendo che la frenata potrebbe essere temporanea.
Anche i mercati finanziari risentono di questo clima instabile.
Nonostante Nvidia abbia riportato una trimestrale positiva, il titolo
ha subito una flessione dell’8%, segnalando aspettative
eccessivamente elevate nel settore tecnologico. Le cosiddette
“Magnifiche 7” (le big tech americane) hanno avuto un inizio
d’anno difficile, mentre gli investitori stanno guardando con
crescente interesse ai mercati europei e cinesi. Inoltre, il
sentiment degli investitori è estremamente negativo, con un
pessimismo diffuso che, paradossalmente, potrebbe preludere a un
rimbalzo dei mercati.
Secondo l’analista Alessandro Fugnoli, la nuova amministrazione
americana sta adottando una strategia economica mirata a ridurre la
spesa interna e spingere altri paesi, soprattutto Europa e Cina, a
politiche fiscali più espansive. La minaccia di dazi, più che un
fine, sembra essere uno strumento di pressione per ridisegnare gli
equilibri commerciali globali. Se questa strategia si concretizzerà,
potremmo assistere a una fase di rallentamento temporaneo negli Stati
Uniti, compensata da un rilancio economico altrove.
Io, più modestamente, ritengo che alla fine del mandato di Trump,
la bilancia commerciale USA continuerà ad essere ampiamente negativa
se non addirittura peggiore di quella attuale. Se così non fosse
significherebbe che gli USA si priverebbero della centralità del
dollaro, grazie alla quale domina il sistema economico globale e che
gli ha permesso di uscire dalle ultime crisi finanziari.
Insomma, comunque la si pensi, sembra che la “sbornia Trump”
stia terminando sui mercati e, per chiunque abbia vissuto un po’,
sappiamo come ci si sente nel dopo sbornia!
Ricordo inoltre che i gestori hanno il minimo di liquidità nei
portafogli dal 2010, questo tradotto significa che tra un po’ non
potranno più comprare e sostenere i prezzi.
Per questo motivo penso che sia il momento di aumentare la
liquidità in portafoglio e/o coprirsi con posizioni ribassiste.
Venerdì, ad esempio, ho aperto una posizione short sul FTSE-MIB.
Donald Trump ha
vinto le elezioni presidenziali americane con un largo margine,
diventando il 47º presidente degli Stati Uniti. La vittoria ha
portato a una forte reazione positiva di Wall Street, con l’indice
S&P 500 che ha raggiunto nuovi massimi. I settori più
avvantaggiati sono stati quelli della difesa, dell’energia
tradizionale e delle banche, mentre l’Europa e la Cina hanno sofferto
a causa delle prospettive di nuove tariffe. La nuova amministrazione
potrebbe ridurre le tasse e promuovere politiche di
deregolamentazione. Tuttavia, ci sono preoccupazioni per una
possibile spinta inflazionistica e per un aumento dei tassi
d’interesse da parte della Federal Reserve.
Il mondo si trova in
una fase di “grande ribilanciamento”. A livello interno,
gli Stati Uniti potrebbero puntare a un programma di crescita con
tagli alla spesa pubblica e alla tassazione, riduzione
dell’immigrazione e aumento della produzione energetica domestica.
La Federal Reserve, pur ostile a Trump, manterrà probabilmente i
tassi al di sopra del 3.5%, limitando l’inflazione. A livello
globale, si prevede un rafforzamento del dollaro, un indebolimento di
oro e obbligazioni, e una stabilità nelle criptovalute. Anche Cina
ed Europa, colpite dai dazi, potrebbero rivalutare le loro politiche
fiscali ed energetiche per mitigare gli effetti economici della
presidenza Trump.
Non è un caso che,
dopo la vittoria di Trump, la Germania è stata particolarmente
colpita dall’instabilità generata dal cambiamento di approccio
americano in ambito commerciale e geopolitico. La crisi del governo
tedesco riflette una spaccatura interna su come risollevare un
modello economico tradizionalmente basato su energia a basso costo
dalla Russia e mercati di esportazione come la Cina, entrambi ora
messi a rischio. La probabile transizione della leadership tedesca a
Friedrich Merz suggerisce un possibile riorientamento della politica
economica e industriale per cercare di mantenere la competitività.
Non vorrei però che
la narrazione prevalga sulla realtà, faccio un esempio:
per quanto riguarda
gli Stati Uniti, nonostante le promesse di riportare la produzione
entro i confini nazionali, gli USA continueranno probabilmente a
dipendere dalle importazioni. Ridurre drasticamente le importazioni
infatti minaccerebbe il valore del dollaro, aumentando i costi
interni e alimentando l’inflazione. A conferma di questo, durante
il primo mandato di Trump, gli USA hanno registrato un saldo negativo
nella bilancia commerciale, poiché il dollaro forte incoraggiava
importazioni, a fronte di un aumento dei dazi sulle esportazioni.
Rieccoci dopo una settimana di pausa per una nuova strategia di
investimento. Le novità rilevanti sono essenzialmente due da quando
ci siamo lasciati: La prima è proprio attualità ossia l’attentato a
Donald Trump che ho appreso proprio mentre stavo cominciando a
scrivere questo articolo.
Molto cinicamente, a
botta calda, vi posso solo dire che il risultato delle prossime
elezioni USA sono ormai difficilmente contendibili.
Le altre elezioni invece che si sono già tenute sono quelle francesi e a questo punto permettetemi di citare quanto avevo scritto due articoli fa in “Perché puntare oggi sui titoli di stato francesi”:
“Alcuni, forse
molti, pensano che le imminenti elezioni e la probabile vittoria
della destra francese possa rendere gli OAT più rischiosi. Io, tanto
per cambiare, la penso diversamente per due ragioni: la prima è che
non darei così scontata questa vittoria, sia perché un conto sono
le elezioni europee un conto sono quelle nazionali e ricordo
che anche per il parlamento in Francia vige un sistema a doppio
turno, per cui molte dinamiche potrebbero cambiare.”
Ognuno di voi può
trarre le ovvie conclusioni, non penso ci sia da aggiungere altro.
Invito chi voglia aiutare a mantenere viva questa voce indipendente
può farlo con una donazione a questo link.
Ora invece in questo
articolo ci occuperemo di un’altra occasione che si sta presentando
questi giorni anche se di tutt’altro tipo e stiamo parlando del
titolo Nike.
Dopo la riduzione delle attese di vendita il titolo ha subito un fortissimo calo come riportato da grafico:
Il grafico che vi ho
riportato è di lunghissimo periodo su un timeframe mensile. Poiché
ritengo che la reazione del mercato sia stata eccessiva rispetto alla
notizia ho valutato che il titolo nike sia sottovalutato rispetto al
suo valore intrinseco. La media mobile mensile a 200 giorni
individuava un livello che poi è stato effettivamente toccato dal
titolo stesso sono così entrato direttamente sul titolo proprio al
prezzo di 72,5 dollari. Ad oggi quella media mobile si è subito
dimostrata un’ottima resistenza che ha arrestato la discesa ed ha già
provocato un piccolo rimbalzo.
Questo sicuramente
sarà uno di quei titoli che terrò per il lungo termine.
Per chi invece
volesse evitare di entrare direttamente nel titolo ed accollarsi
anche il rischio cambio, c’è questo certificato che può
sicuramente essere un’ottima alternativa all’investimento diretto:
Breve, anzi brevissimo, aggiornamento del Portafoglio Italia: da tempo predichiamo prudenza e lo storno è arrivato. La storia è sempre la stessa: Trump fa un passo indietro sui negoziati USA-Cina ed i mercati sfruttano l’occasione per prendere profitto.
Diciamo subito che ormai possiamo affermare che il rally di natale è una vana speranza. Questa settimana è stata un’altra di brusco calo, ma le cause vanno trovate più oltre oceano che per ragioni interne all’Italia. In particolare troviamo poco comprensibili la politica monetaria messa in atto dalla FED ed anche la comunicazione utilizzata dallo stesso Jerome Hayden Powell che da una parte paventa un possibile rallentamento Continua a leggere…