Calma e sangue freddo

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Avevo già per metà concluso l’articolo di questa settimana ma gli eventi di questa notte, con l’attacco degli Stati Uniti all’Iran, hanno sicuramente cambiato la situazione.

Il presidente Donald Trump ha definito l’operazione militare un “successo spettacolare”, evidenziando che “tutti gli obiettivi sono stati colpiti” e sostenendo che “nessun altro esercito al mondo sarebbe stato in grado di eseguire un’azione simile”. Trump ha inoltre lanciato un avvertimento diretto all’Iran, affermando che Teheran deve “scegliere la pace oppure affrontare conseguenze ben peggiori”.

Dall’Iran, l’Organizzazione per l’Energia Atomica ha confermato l’avvenuto attacco, definendolo una “violazione del diritto internazionale” e avviando una campagna diplomatica per sollevare la questione presso le Nazioni Unite. Fonti iraniane riferiscono che la struttura principale dell’impianto nucleare di Fordow non è stata danneggiata, mentre i danni avrebbero interessato unicamente i tunnel di accesso. Il governo iraniano ha ribadito che l’attacco non avrà ripercussioni sul proseguimento del proprio programma nucleare.

Esprimo tutta la mia solidarietà e compassione verso quelli che ritenevano che Trump avrebbe portato la pace nel mondo (anime belle) ed ai fissati della stagionalità che continuavano a sostenere che tra giugno e luglio i mercati sono principalmente rialsisti senza guardare minimamente lo scenario globale attuale.

Sui mercati OTC aperti nel weekend, i principali indici americani ed europei sono in calo dell’1,5%, mentre il petrolio vola a +7,5%

L’articolo sarebbe stato sulla sostituzione del certificato andato a scadenza e presentato in “Guadagno oltre il 17% e protezione fino al 50% dei ribassi: oggi è possibile“. Vista la situazione consiglio a tutti di tenersi la liquidità ed attendere di capire meglio l’evoluzione della guerra. Per chi volesse addirittura coprirsi dall’inevitabile aumento della volatilità, tra i tanti, c’è ad esempio questo prodotto sul Vix: LU0832435464, ma ce ne sono molti altri.

Per il resto calma e sangue freddo.

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Il certificato che resiste anche a -70% con cedole fisse e airbag

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La settimana è stata dominata dall’escalation militare tra Israele e Iran. Giovedì sera, Israele ha lanciato una serie di raid contro siti nucleari e militari in Iran (Operazione “Rising Lion”), provocando la reazione iraniana con missili balistici e droni lanciati verso Tel Aviv e Gerusalemme. Questo intensificarsi delle tensioni ha nuovamente aperto il dibattito sul rischio di un conflitto regionale più ampio, con timori forti sul controllo del traffico petrolifero nello Stretto di Hormuz .

Wall Street ha chiuso in calo netto venerdì: Dow -1,8 %, S&P500 -1,1 %, Nasdaq -1,3 % . Il Dow ha perso circa 770 punti, mentre il Nasdaq e l’indice S&P si sono ritirati da un piccolo guadagno settimanale . Le vendite hanno colpito in particolare settori sensibili al petrolio e ai viaggi (compagnie aeree, crociere), mentre difesa ed energia hanno beneficiato del clima bellico In Europa e Asia si sono registrate perdite comparabili: in Germania e Francia ogni indice ha perso circa l’1 %, così come le borse asiatiche in Giappone, Corea del Sud e Hong Kong .

Contrariamente alle aspettative di flussi verso i titoli di Stato considerati rifugio sicuro, i rendimenti dei Treasury USA sono saliti lievemente a fine settimana, con il decennale che ha toccato il 4,42 % (+6,5 punti base). Secondo gli analisti, questo comportamento riflette una combinazione di sfiducia sulle dinamiche fiscali statunitensi, incertezza sulla traiettoria del conflitto sul lungo termine e l’avvicinarsi della riunione Fed di giugno .

Sul fronte dei commodities, si è assistito a una corsa del petrolio: il WTI ha superato i 73 $/barile (+7‑14 % settimanale), con il Brent intorno a 74 $ . Questa escalation è guidata dal rischio di interruzioni nell’export mediorientale, soprattutto nello Stretto di Hormuz .

Gli investitori si sono rifugiati anche in oro, che ha raggiunto livelli record attorno a 3.431‑3.500 $/oncia, anche perché gli acquisti su Treasury sono stati limitati . Il dollaro, sebbene inizialmente consolidato come safe haven, ha perso terreno nella seconda parte della settimana a causa di fattori fiscali interni USA.

Mai come oggi bisogna rimanere cauti: se l’escalation dovesse allargarsi e coinvolgere alleanze o bloccare lo Stretto di Hormuz, i prezzi energetici e l’inflazione ne risentirebbero significativamente, costringendo la Fed (ma anche la BCE) a rivedere la propria strategia .

L’ultima settimana ha confermato che i mercati finanziari sono sensibili a episodi geopolitici, anche quando di breve durata. La robusta risposta iniziale del petrolio e dell’oro, unita alla debolezza dei bond governativi, segnalano una spaccatura nelle logiche tradizionali di safe‑haven. Gli investitori ora saranno all’erta per la direzione della Fed e gli sviluppi sul terreno mediorientale.

Capite come in una situazione del genere sono andato a pescare tra i certificati per struttura più “resilienti” sul mercato: Fixed Cash Collect Airbag Step-Down.

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Questa settimana ho deciso di presentare il certificato in maniera un po’ diversa dal solito, spero vi piaccia.

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Fare il 10% all’anno con tecnologia ed oro

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Negli Stati Uniti i principali indici hanno chiuso la settimana in rialzo, sostenuti da dati economici solidi e dal clima più disteso sulle trattative commerciali, ma secondo me durerà ancora poco. Lo S&P 500 ha guadagnato circa l’1% da inizio settimana, superando quota 6.000 punti (chiuso a 6.003 il 6 giugno), il Nasdaq Composite ha messo a segno un progresso di circa il 2% nell’arco settimanale e il Dow Jones ha chiuso anch’esso in leggero rialzo. A spingere i corsi sono stati dati sul lavoro migliori delle attese (+139mila nuovi posti di lavoro a maggio negli USA) e il raggiungimento di un accordo provvisorio tra Stati Uniti e Cina per ridurre i dazi reciproci sui beni (tregua di 90 giorni). Sul fronte tecnologico, titoli come Nvidia (+1,2%), Meta (+1,9%) e Apple (+2,1%) hanno beneficiato del quadro positivo.

In Europa la tendenza è stata analoga: gli indici azionari hanno recuperato terreno dopo un breve scivolone iniziale. Il DAX tedesco è salito circa dell’1,7% mercoledì 28 maggio, mentre l’Euro Stoxx 50 (il paniere delle Blue Chip dell’eurozona) ha registrato un rialzo nel corso della settimana, spinto dal calo dell’inflazione. Secondo i dati preliminari Eurostat, l’inflazione annuale nell’area euro è scesa al 1,9% a maggio (da 2,2% di aprile), ben al di sotto dell’obiettivo BCE. Anche in Italia Piazza Affari ha terminato la settimana con un segno positivo: il FTSE MIB ha guadagnato circa lo 0,55%, chiudendo a 40.602 punti venerdì 6 giugno.

Sul fronte obbligazionario, i rendimenti dei titoli di Stato sono rimasti sostanzialmente stabili con segnali di moderato calo in Europa. Il BTP decennale italiano rende attorno al 3,5%, grazie anche al restringimento dello spread sotto i 95 punti base. In Germania il Bund 10 anni tratta intorno al 2,6%, coerentemente con le attese di un nuovo taglio dei tassi da parte della BCE dopo il dato di inflazione debole. Negli Stati Uniti, il rendimento del Treasury 10 anni si attesta poco sotto il 4,5% (circa 4,50%), in rialzo rispetto alla settimana precedente per via dell’ottimismo sull’economia e sarà questa una delle variabili principali da monitorare nei prossimi mesi.

Infatti i mercati guardano ora ai prossimi appuntamenti macro: questa settimana la BCE ha effettivamente tagliato i tassi di 25 punti base, mentre negli USA è attesa la riunione della Fed di metà giugno. La politica monetaria resta quindi al centro delle attenzioni. Sul fronte geopolitico, oltre all’intesa sui dazi USA-Cina, si segnala la decisione di Trump di rinviare le tariffe previste sull’Europa, notizia che ha alleviato la pressione sul mercato europeo. In sintesi, l’ultima settimana ha visto prevalere umori positivi, con azioni e obbligazioni che hanno digerito dati chiave e novità politiche, confermando un clima di attendismo costruttivo sui listini globali.

In questo contesto aumentare la componente liquida del portafoglio è comunque un’ottima idea. Un’alternativa può essere trovare dei certificati che hanno una buona probabilità di essere richiamati a breve in modo tale da essere pronti a sfruttare futuri ribassi.

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Vediamone le caratteristiche principali:

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Quattro assicurativi per un 11.5% annuo

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I principali indici azionari USA sono cresciuti, con il Nasdaq in rialzo del 2,01%, l’S&P 500 dell’1,88% e il Dow Jones dell’1,60%. La settimana è stata dominata dalle notizie sui dazi (tanto per cambiare): Trump ha rinviato al 9 luglio l’introduzione di un nuovo dazio del 50% sull’UE. Tuttavia, un tribunale ha stabilito che Trump non aveva l’autorità per la maggior parte dei dazi globali, provocando forti rialzi di borsa giovedì, ma poi un tribunale d’appello ha sospeso temporaneamente questa decisione, limitando i guadagni. Inoltre, l’ottimismo si è smorzato a causa di dichiarazioni di stallo nei negoziati USA-Cina.

L’inflazione core PCE di aprile è scesa al 2,5% (minimo da 4 anni), ma resta oltre il target del 2% della Fed. I verbali della Fed di inizio maggio hanno confermato rischi inflazionistici legati alle incertezze commerciali. La fiducia dei consumatori è migliorata bruscamente, con l’indice del Conference Board in forte rialzo grazie all’allentamento delle tensioni commerciali. I Treasury hanno beneficiato del temporaneo stop ai dazi, mentre i bond ad alto rendimento hanno sovraperformato, sostenuti dalla fiducia dei consumatori e da emissioni limitate.
Lo STOXX Europe 600 è salito dello 0,65% dopo il rinvio dei dazi USA-UE. L’inflazione si è moderata in Spagna e Italia (1,9%), in Francia (0,6%) e leggermente in Germania (2,1%). Tuttavia, le aspettative d’inflazione delle famiglie restano al 3,1%. In Germania, la disoccupazione è salita più del previsto a 2,96 milioni. Nel Regno Unito, la fiducia nel settore servizi è calata a minimi da 2,5 anni.
Gli indici Nikkei 225 (+2,17%) e TOPIX (+2,41%) sono saliti, sostenuti da progressi nei colloqui commerciali con gli USA. L’inflazione a Tokyo ha accelerato (3,6% annuo), mentre la produzione industriale è scesa dello 0,9%. La BoJ mantiene la linea accomodante nonostante le pressioni inflazionistiche. Su quanto sia cruciale la posizione del Giappone nell’attuale assetto finanziario internazionale sarà (probabilmente) argomento di un prossimo post, soprattutto vedremo come stia cambiando il carry trade.
Per rimanere in Asia, gli indici CSI 300 e Shanghai Composite hanno chiuso in calo, con investitori prudenti per la pausa nei negoziati USA-Cina. Il governo cinese investirà 500 miliardi di RMB in infrastrutture e prevede di mantenere forte il settore manifatturiero.

In sintesi, la settimana è stata caratterizzata dalle oscillazioni dei mercati legate alle incertezze commerciali globali, alla frenata dell’inflazione in Europa e Giappone, e a segnali contrastanti sulla crescita economica.

In questo contesto mi sono orientato verso un certificato con quattro sottostanti che, assieme a quello delle utility, considero tra i settori più stabili, quello assicurativo.

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Vediamo subito le caratteristiche:

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Proteggersi dai ribassi di oltre il 50% con due banche straniere con un rendimento del 13.67%

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Per ragioni di tempo il post di questa settimana sarà in formato più ridotto.

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I principali indici azionari statunitensi hanno chiuso la settimana in calo, influenzati dalla volatilità dei titoli di Stato e dalle rinnovate tensioni commerciali. L’S&P 500 e il Dow Jones sono tornati in territorio negativo da inizio anno, mentre il Nasdaq ha contenuto le perdite (-2,47%). La debolezza è stata accentuata da un’asta deludente di titoli del Tesoro a 20 anni, che ha fatto salire i rendimenti, raggiungendo il livello più alto dal 2023 per i titoli trentennali. Le preoccupazioni sono aumentate dopo il downgrade del debito sovrano USA da parte di Moody’s e l’approvazione di una legge fiscale del presidente Trump, vista come potenzialmente espansiva per il debito pubblico.

I mercati sono scesi ulteriormente dopo che Trump ha annunciato nuove tariffe del 50% sulle importazioni dall’UE, a partire dal 1° giugno, e ha minacciato tariffe del 25% sugli iPhone se Apple non trasferirà la produzione negli USA.

Nel frattempo, l’attività economica statunitense è migliorata a maggio. L’indice PMI dei servizi è salito da 50,8 a 52,3, mentre quello manifatturiero è cresciuto a 52,3, segnando una ripresa rispetto ad aprile. Tuttavia, i prezzi sono aumentati al ritmo più alto da agosto 2022, legati in gran parte ai dazi.

Nel settore immobiliare, le vendite di case esistenti sono scese ai minimi da aprile 2009, mentre le vendite di nuove case sono salite inaspettatamente a 743.000 unità. I tassi ipotecari a 30 anni hanno toccato i livelli più alti da metà febbraio.

In Europa, l’indice STOXX Europe 600 ha perso lo 0,75% dopo l’annuncio delle tariffe USA. Gli indici principali di Germania, Francia e Italia sono scesi, mentre il FTSE 100 del Regno Unito ha guadagnato. Il PMI dell’Eurozona è sceso sotto 50, indicando contrazione. La Commissione Europea ha rivisto al ribasso la crescita del 2025 allo 0,9%.

Io in questo contesto continuo a mantenermi molto liquido, vendo dollari in tutte le suo forme (ETF in USD, azioni e obbligazioni), compro oro con hedge in euro e prodotti che mi garantiscano un importante flusso di cassa a fronte di una buona protezione.

Il certificato di questa settimana si inquadra proprio in questo contesto.

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Tre società per la ricostruzione in Ucraina per quasi il 9% annuo

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La scorsa settimana ha segnato un importante punto di svolta per i mercati azionari statunitensi. Dopo il violento drawdown di aprile, l’indice S&P 500 e il Nasdaq hanno chiuso in territorio positivo da inizio anno, con una distanza di poco superiore al 3% dai massimi storici. Si è trattato di un recupero tanto rapido quanto sorprendente, favorito da due catalizzatori principali: l’allentamento delle tensioni commerciali e il ritorno degli acquisti sui titoli tecnologici.

L’amministrazione americana ha infatti sospeso per 90 giorni gran parte delle tariffe doganali introdotte ad aprile (esclusa la tariffa base del 10%) e, a sorpresa, ha annunciato una drastica riduzione delle tariffe verso la Cina, passate dal 145% al 30%. In parallelo, numerose aziende USA hanno siglato importanti accordi commerciali in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, con una forte componente legata alla tecnologia avanzata. Queste intese, sebbene sollevino interrogativi sul piano della sicurezza nazionale, hanno riacceso l’interesse del mercato per il comparto AI.

Proprio in questo contesto si inserisce la revoca della “AI Diffusion Rule”, una norma introdotta da Biden a gennaio che limitava l’export di chip AI verso numerosi Paesi. La sua eliminazione favorisce attori come Nvidia, AMD e Intel, che hanno già iniziato a recuperare parte delle perdite, riducendo il drawdown dal 30% di aprile a circa il 9%.

Tenete a mente questo aspetto perché la competizione sulla tecnologia tra USA e Cina sarà uno degli aspetti dirimenti nei prossimi anni.

Crescita solida, inflazione sotto controllo

L’economia reale mostra segnali di tenuta. Le attese di recessione, che a fine aprile raggiungevano il 65% su piattaforme di prediction market come Polimarket, sono ora scese al 38%. Il modello GDP Now della Fed di Atlanta prevede una crescita del PIL USA del 2,4% per il trimestre in corso. Nel frattempo, i dati sull’inflazione sorprendono in positivo: il CPI è uscito al 2,3% (vs 2,4% atteso), il PPI al 2,4% (vs 2,5% previsto), smentendo i timori di una nuova fiammata inflattiva.

Eppure, il sentiment dei consumatori rimane fragile. Il sondaggio dell’Università del Michigan indica aspettative di inflazione a un anno al 7,3%, un valore distorto da fattori psicologici e polarizzazione politica. A questo si aggiungono le prime avvisaglie di rincari nei beni soggetti a dazi, come segnalato dal CEO di Walmart.

Moody’s declassa gli Stati Uniti: impatto psicologico, ma non sistemico

A mercati chiusi, Moody’s ha annunciato il downgrade del debito USA da Aaa ad Aa1, citando l’incapacità del governo di contenere deficit e spesa per interessi. La decisione, pur attesa da alcuni analisti, è un campanello d’allarme sulla traiettoria del debito: si stima che nel 2025 il 30% delle entrate federali sarà destinato al pagamento degli interessi. Il downgrade non implica un rischio di default, ma rende evidente l’erosione della fiducia nel debito sovrano statunitense, definito da tempo “risk free” solo nominalmente.

Treasuries sotto pressione, attesa per l’autunno

A mio avviso, il vero freno al rialzo dei mercati non è il rischio di recessione, bensì la fragilità dei Treasury. L’elevato disavanzo, la fine del QE, il Quantitative Tightening in atto e l’assenza di nuovi acquirenti istituzionali esteri mettono pressione sulle aste. Se i rendimenti dei decennali si avvicinassero al 5%, l’azionario ne risentirebbe.

Proprio per affrontare questi problemi, esiste la proposta di modifica dei ratio patrimoniali bancari, attesa per l’autunno, potrebbe sbloccare nuova domanda da parte delle banche USA. Inoltre, nel 2026, la Fed potrebbe vedere un cambio alla guida, con un profilo più accomodante.

Il quadro attuale resta di temporaneo equilibrio: l’azionario cavalca un rimbalzo tecnico e macroeconomico, ma le fondamenta fiscali e obbligazionarie restano fragili. Estate e autunno si prospettano come banchi di prova. Fino ad allora, momentum e speranza restano le forze trainanti.

Benché, lo sapete, io non abbia approfittato di questo ultimo movimento a V, rimango ancora in posizione attendista rispetto all’azionario e continuo con i miei due principi base: protezione e diversificazione.

In questa direzione va il prodotto descritto di seguito che ha due caratteristiche principali: barriera distante e sottostanti che non si hanno in portafoglio.

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Ogni contributo è un piccolo mattoncino per l’indipendenza di questo blog.

Il certificate che presento questa settimana è incentrato sulla futura ricostruzione dell’Ucraina. Per completezza riporto i motivi per cui è stato proposto, fermo restando che i motivi principali che mi hanno spinto a sceglierlo sono quelli detti sopra.

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Brevi aggiornamenti

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Questa settimana nessuna nuova strategia, non tanto per mia mancanza di tempo, ma soprattutto perché io continuo a ritenere che questo rimbalzo a V, quantomeno nel breve termine, non possa durare ancora per molto e non vedo grosse occasioni, meglio rimanere liquidi ed utilizzare le “cartucce” per un prossimo futuro storno.

Quindi anche io questa settimana non ho effettuato alcuna operazione ed attendo condizioni maggiormente favorevoli del mercato.

Per cui stay tuned e ci aggiorniamo alla prossima settimana!

Fare il 13,8% con un mix di indici e bond USA

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Negli ultimi giorni, i mercati finanziari hanno mostrato segnali misti, riflettendo l’incertezza generata dalla strategia commerciale dell’amministrazione Trump e dalla difficile lettura dello scenario macroeconomico globale. Al centro della scena si trovano le tensioni con la Cina, i dati economici distorti e le implicazioni sulle politiche monetarie e fiscali. Mentre alcuni indicatori mostrano resilienza, la volatilità resta alta e la direzione futura appare tutt’altro che chiara.

Nel breve termine io consiglio estrema prudenza perché il recente movimento a V non è assolutamente sostenibile, soprattutto perché fatta a strappi lasciando molti gap aperti. L’indice FTSE-MIB ne è un esempio ma vale anche per gli altri indici:

La politica dei dazi adottata da Trump ha rappresentato un chiaro ritorno al protezionismo. Il team economico presidenziale, guidato da Robert Lighthizer e Peter Navarro, ha dato un’impronta fortemente interventista, puntando a correggere lo squilibrio commerciale con la Cina attraverso tariffe e barriere. Questa impostazione ha segnato una discontinuità rispetto alla dottrina liberista repubblicana degli ultimi decenni, riaffermando l’interesse nazionale sopra l’integrazione globale. La logica è chiara: ridurre la dipendenza americana dalle importazioni, riequilibrare il deficit commerciale e rilocalizzare la produzione interna. Tuttavia, le conseguenze di questa scelta si stanno manifestando in modo complesso, sia in termini economici che geopolitici.

Va inoltre sempre ricordato che, se magari gli USA, forse, possono permettersi, per puri motivi di contrapposizione geopolitica, tentare di isolare commercialmente la Cina, non possono assolutamente rinunciare al loro ruolo di “compratore globale di ultima istanza”, ossia continuerà ad avere un deficit commerciale strutturale, Trump o non Trump.

D’altronde l’economia americana, pur non avendo ancora subito un vero rallentamento, mostra segnali ambigui. Come sottolinea Alessandro Fugnoli in un recente articolo, molti dati macroeconomici sono difficili da interpretare, anche per la loro raccolta asincrona. Ad esempio, un dato positivo potrebbe riflettere la corsa agli acquisti per anticipare gli effetti dei dazi, e non una reale solidità dell’economia. Inoltre, l’impatto dei dazi si configura come uno shock da offerta, diverso da quello causato dalla pandemia di Covid-19: non esiste un forte supporto monetario e fiscale e la previsione è di una crescita più debole accompagnata da una bassa inflazione.

In parallelo, la Cina resta l’incognita più rilevante. Da un lato, l’economia cinese non si è fermata e continua a crescere, sebbene con una certa fragilità. Dall’altro, la resistenza reciproca di Stati Uniti e Cina rischia di trasformarsi in un lungo stallo negoziale, con esiti imprevedibili. Entrambi i paesi sembrano sopravvalutare la propria capacità di resistere a un eventuale embargo incrociato, e sottovalutano gli effetti sistemici sulle catene di fornitura globali. Le trattative potrebbero comunque sbloccarsi, magari con una moratoria sulle misure restrittive, qualora emergesse una volontà politica comune di rassicurare i mercati.

Intanto, la risposta delle autorità americane mostra sfumature contrastanti. La Federal Reserve, almeno ufficialmente, mantiene un atteggiamento freddo e prudente. Le recenti parole di Christopher Waller, che ha aperto a possibili tagli dei tassi in caso di peggioramento del mercato del lavoro, vanno lette anche in chiave politica: Waller è uno dei candidati a succedere a Jerome Powell e potrebbe voler guadagnare consensi interni alla Casa Bianca. Al contrario, l’amministrazione Trump sembra oggi più attenta al comportamento dei mercati finanziari rispetto al passato, pronta a intervenire per sostenere i corsi azionari in caso di debolezza.

Sul fronte operativo, emerge una preferenza per le borse europee, considerate relativamente più resilienti rispetto a quelle americane e asiatiche. Anche l’euro appare in fase di consolidamento e potrebbe rafforzarsi ulteriormente, mentre i bond europei beneficiano nel breve termine delle pressioni deflazionistiche. I titoli obbligazionari in dollari sono invece da gestire con prudenza, privilegiando le scadenze brevi in attesa di sviluppi sulla curva dei rendimenti. L’oro, infine, mantiene un ruolo difensivo, sostenuto dalla continua domanda cinese. Il grafico sottostante penso sia abbastanza esplicativo:

Nel contesto appenda descritto io personalmente sto approfittando di questo momento di rimbalzo per liquidare alcune azioni a favore di liquidità, oro in hedge con euro e certificati.

Quello che segue è tra quelli che sto monitorando.

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Proteggersi fino al -70% di ribasso!

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Rieccoci dopo le vacanze pasquali a cercare nuove strategie.

In questo articolo mi sono concentrato su come sostituire il certificato presentato nell’articolo “Tre banche europee per oltre il 16% all’anno” che è andato ormai in scadenza anticipato.

Per chi se lo fosse perso, consiglio anche di leggere “Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari” perché la recente ritirata di Trump sui dazi alla Cina sembra essere una delle conseguenze delle argomentazioni scritte in tale articolo.

Con la scadenza del certificato DE000UG1U4Q2, analizzato in un precedente articolo su investmentengineering.it, gli investitori possono essere alla ricerca di nuove opportunità per reinvestire la liquidità.

Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete cliccare sulle inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Queste ultime due possibilità non vi costano nulla! Inoltre ora potete farlo anche tramite un trasferimento di bitcoin a questo indirizzo: bc1qy0kr074kdpnlrzszgwfnrdrlv2srnmkdzltl8s od utilizzando il seguente QR Code:

Tra le alternative ho trovato il certificato con ISIN IT0006767872, un prodotto che combina rendimento e protezione, ma con caratteristiche distintive rispetto al predecessore. In questo articolo analizzeremo le sue peculiarità, lo confronteremo con DE000UG1U4Q2 e valuteremo se possa rappresentare una scelta valida, considerando in particolare l’impatto di un maggior numero di sottostanti in un contesto “worst of”.

Premetto che mi sto spostando su un prodotto complessivamente più difensivo del precedente perché non mi fido del recente rimbalzo.

Descrizione del Certificato

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Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari

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Questo post “sostituisce” il classico articolo del weekend visto che ci troviamo nella settimana pasquale e quindi salterà. Ne approfitto per farvi gli auguri di Buona Pasqua!

Il post che segue è un po’ diverso dal solito e prendo spunto da un commento di un lettore (che ringrazio) riguardo il mio ultimo articolo che, seppur di sfuggita, accennava a quale dovesse essere, a mio avviso, la postura internazionale dell’Italia e quindi nei confronti della Cina.

Ci tengo a precisare che non c’è nessun intento polemico contro il commento stesso, così come la mia visione può tranquillamente non essere condivisa da alcuni: io lascerò i commenti aperti facendo affidamento sulla vostra educazione. Anticipo già che personalmente non risponderò ai commenti.

Visto che gli argomenti addotti vanno molto di moda (e lo andranno sempre di più) in maniera trasversale dagli ambienti ZTL ai suprematisti occidentali vale la pena dedicargli un post a sé.

Il commento recita testualmente:

Si,cadiamo in mano a un regime autoritario,che sta rapinando Paesi emergenti,terreni e terre rare,rubare tecnologie,colpevole del COVID, sovvenzioni statali alle sue imprese,vendendo in dumping,ecc.,… può bastare?
Il puzzone si può convincere,e poi passerà,i comunisti nn cambiano mai,Sic et sempre.
E poi nn ha proprio tutti i torti:usa ci pagano sicurezza,e noi investiamo in welfare che loro nn hanno…mi fermo qui

Prima di entrare nel merito, faccio un po’ di premesse:

  1. Non sono un sinologo
  2. Lungi da me difendere un paese o regime piuttosto che un altro
  3. Stringere accordi o alleanze in qualche campo non significa “cadere in mano a qualcuno”. Questo approccio è tipico di che dà per scontato che si debba inevitabilmente sottostare a qualche egemone.

Premesso ciò, iniziamo. L’articolo sarà un po’ lungo, perciò mettetevi comodi, ma soprattutto non conterrà nessuna strategia operativa.

Depredare i paesi emergenti

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