Tre società per la ricostruzione in Ucraina per quasi il 9% annuo

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La scorsa settimana ha segnato un importante punto di svolta per i mercati azionari statunitensi. Dopo il violento drawdown di aprile, l’indice S&P 500 e il Nasdaq hanno chiuso in territorio positivo da inizio anno, con una distanza di poco superiore al 3% dai massimi storici. Si è trattato di un recupero tanto rapido quanto sorprendente, favorito da due catalizzatori principali: l’allentamento delle tensioni commerciali e il ritorno degli acquisti sui titoli tecnologici.

L’amministrazione americana ha infatti sospeso per 90 giorni gran parte delle tariffe doganali introdotte ad aprile (esclusa la tariffa base del 10%) e, a sorpresa, ha annunciato una drastica riduzione delle tariffe verso la Cina, passate dal 145% al 30%. In parallelo, numerose aziende USA hanno siglato importanti accordi commerciali in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, con una forte componente legata alla tecnologia avanzata. Queste intese, sebbene sollevino interrogativi sul piano della sicurezza nazionale, hanno riacceso l’interesse del mercato per il comparto AI.

Proprio in questo contesto si inserisce la revoca della “AI Diffusion Rule”, una norma introdotta da Biden a gennaio che limitava l’export di chip AI verso numerosi Paesi. La sua eliminazione favorisce attori come Nvidia, AMD e Intel, che hanno già iniziato a recuperare parte delle perdite, riducendo il drawdown dal 30% di aprile a circa il 9%.

Tenete a mente questo aspetto perché la competizione sulla tecnologia tra USA e Cina sarà uno degli aspetti dirimenti nei prossimi anni.

Crescita solida, inflazione sotto controllo

L’economia reale mostra segnali di tenuta. Le attese di recessione, che a fine aprile raggiungevano il 65% su piattaforme di prediction market come Polimarket, sono ora scese al 38%. Il modello GDP Now della Fed di Atlanta prevede una crescita del PIL USA del 2,4% per il trimestre in corso. Nel frattempo, i dati sull’inflazione sorprendono in positivo: il CPI è uscito al 2,3% (vs 2,4% atteso), il PPI al 2,4% (vs 2,5% previsto), smentendo i timori di una nuova fiammata inflattiva.

Eppure, il sentiment dei consumatori rimane fragile. Il sondaggio dell’Università del Michigan indica aspettative di inflazione a un anno al 7,3%, un valore distorto da fattori psicologici e polarizzazione politica. A questo si aggiungono le prime avvisaglie di rincari nei beni soggetti a dazi, come segnalato dal CEO di Walmart.

Moody’s declassa gli Stati Uniti: impatto psicologico, ma non sistemico

A mercati chiusi, Moody’s ha annunciato il downgrade del debito USA da Aaa ad Aa1, citando l’incapacità del governo di contenere deficit e spesa per interessi. La decisione, pur attesa da alcuni analisti, è un campanello d’allarme sulla traiettoria del debito: si stima che nel 2025 il 30% delle entrate federali sarà destinato al pagamento degli interessi. Il downgrade non implica un rischio di default, ma rende evidente l’erosione della fiducia nel debito sovrano statunitense, definito da tempo “risk free” solo nominalmente.

Treasuries sotto pressione, attesa per l’autunno

A mio avviso, il vero freno al rialzo dei mercati non è il rischio di recessione, bensì la fragilità dei Treasury. L’elevato disavanzo, la fine del QE, il Quantitative Tightening in atto e l’assenza di nuovi acquirenti istituzionali esteri mettono pressione sulle aste. Se i rendimenti dei decennali si avvicinassero al 5%, l’azionario ne risentirebbe.

Proprio per affrontare questi problemi, esiste la proposta di modifica dei ratio patrimoniali bancari, attesa per l’autunno, potrebbe sbloccare nuova domanda da parte delle banche USA. Inoltre, nel 2026, la Fed potrebbe vedere un cambio alla guida, con un profilo più accomodante.

Il quadro attuale resta di temporaneo equilibrio: l’azionario cavalca un rimbalzo tecnico e macroeconomico, ma le fondamenta fiscali e obbligazionarie restano fragili. Estate e autunno si prospettano come banchi di prova. Fino ad allora, momentum e speranza restano le forze trainanti.

Benché, lo sapete, io non abbia approfittato di questo ultimo movimento a V, rimango ancora in posizione attendista rispetto all’azionario e continuo con i miei due principi base: protezione e diversificazione.

In questa direzione va il prodotto descritto di seguito che ha due caratteristiche principali: barriera distante e sottostanti che non si hanno in portafoglio.

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Il certificate che presento questa settimana è incentrato sulla futura ricostruzione dell’Ucraina. Per completezza riporto i motivi per cui è stato proposto, fermo restando che i motivi principali che mi hanno spinto a sceglierlo sono quelli detti sopra.

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Brevi aggiornamenti

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Questa settimana nessuna nuova strategia, non tanto per mia mancanza di tempo, ma soprattutto perché io continuo a ritenere che questo rimbalzo a V, quantomeno nel breve termine, non possa durare ancora per molto e non vedo grosse occasioni, meglio rimanere liquidi ed utilizzare le “cartucce” per un prossimo futuro storno.

Quindi anche io questa settimana non ho effettuato alcuna operazione ed attendo condizioni maggiormente favorevoli del mercato.

Per cui stay tuned e ci aggiorniamo alla prossima settimana!

Fare il 13,8% con un mix di indici e bond USA

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Negli ultimi giorni, i mercati finanziari hanno mostrato segnali misti, riflettendo l’incertezza generata dalla strategia commerciale dell’amministrazione Trump e dalla difficile lettura dello scenario macroeconomico globale. Al centro della scena si trovano le tensioni con la Cina, i dati economici distorti e le implicazioni sulle politiche monetarie e fiscali. Mentre alcuni indicatori mostrano resilienza, la volatilità resta alta e la direzione futura appare tutt’altro che chiara.

Nel breve termine io consiglio estrema prudenza perché il recente movimento a V non è assolutamente sostenibile, soprattutto perché fatta a strappi lasciando molti gap aperti. L’indice FTSE-MIB ne è un esempio ma vale anche per gli altri indici:

La politica dei dazi adottata da Trump ha rappresentato un chiaro ritorno al protezionismo. Il team economico presidenziale, guidato da Robert Lighthizer e Peter Navarro, ha dato un’impronta fortemente interventista, puntando a correggere lo squilibrio commerciale con la Cina attraverso tariffe e barriere. Questa impostazione ha segnato una discontinuità rispetto alla dottrina liberista repubblicana degli ultimi decenni, riaffermando l’interesse nazionale sopra l’integrazione globale. La logica è chiara: ridurre la dipendenza americana dalle importazioni, riequilibrare il deficit commerciale e rilocalizzare la produzione interna. Tuttavia, le conseguenze di questa scelta si stanno manifestando in modo complesso, sia in termini economici che geopolitici.

Va inoltre sempre ricordato che, se magari gli USA, forse, possono permettersi, per puri motivi di contrapposizione geopolitica, tentare di isolare commercialmente la Cina, non possono assolutamente rinunciare al loro ruolo di “compratore globale di ultima istanza”, ossia continuerà ad avere un deficit commerciale strutturale, Trump o non Trump.

D’altronde l’economia americana, pur non avendo ancora subito un vero rallentamento, mostra segnali ambigui. Come sottolinea Alessandro Fugnoli in un recente articolo, molti dati macroeconomici sono difficili da interpretare, anche per la loro raccolta asincrona. Ad esempio, un dato positivo potrebbe riflettere la corsa agli acquisti per anticipare gli effetti dei dazi, e non una reale solidità dell’economia. Inoltre, l’impatto dei dazi si configura come uno shock da offerta, diverso da quello causato dalla pandemia di Covid-19: non esiste un forte supporto monetario e fiscale e la previsione è di una crescita più debole accompagnata da una bassa inflazione.

In parallelo, la Cina resta l’incognita più rilevante. Da un lato, l’economia cinese non si è fermata e continua a crescere, sebbene con una certa fragilità. Dall’altro, la resistenza reciproca di Stati Uniti e Cina rischia di trasformarsi in un lungo stallo negoziale, con esiti imprevedibili. Entrambi i paesi sembrano sopravvalutare la propria capacità di resistere a un eventuale embargo incrociato, e sottovalutano gli effetti sistemici sulle catene di fornitura globali. Le trattative potrebbero comunque sbloccarsi, magari con una moratoria sulle misure restrittive, qualora emergesse una volontà politica comune di rassicurare i mercati.

Intanto, la risposta delle autorità americane mostra sfumature contrastanti. La Federal Reserve, almeno ufficialmente, mantiene un atteggiamento freddo e prudente. Le recenti parole di Christopher Waller, che ha aperto a possibili tagli dei tassi in caso di peggioramento del mercato del lavoro, vanno lette anche in chiave politica: Waller è uno dei candidati a succedere a Jerome Powell e potrebbe voler guadagnare consensi interni alla Casa Bianca. Al contrario, l’amministrazione Trump sembra oggi più attenta al comportamento dei mercati finanziari rispetto al passato, pronta a intervenire per sostenere i corsi azionari in caso di debolezza.

Sul fronte operativo, emerge una preferenza per le borse europee, considerate relativamente più resilienti rispetto a quelle americane e asiatiche. Anche l’euro appare in fase di consolidamento e potrebbe rafforzarsi ulteriormente, mentre i bond europei beneficiano nel breve termine delle pressioni deflazionistiche. I titoli obbligazionari in dollari sono invece da gestire con prudenza, privilegiando le scadenze brevi in attesa di sviluppi sulla curva dei rendimenti. L’oro, infine, mantiene un ruolo difensivo, sostenuto dalla continua domanda cinese. Il grafico sottostante penso sia abbastanza esplicativo:

Nel contesto appenda descritto io personalmente sto approfittando di questo momento di rimbalzo per liquidare alcune azioni a favore di liquidità, oro in hedge con euro e certificati.

Quello che segue è tra quelli che sto monitorando.

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Proteggersi fino al -70% di ribasso!

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Rieccoci dopo le vacanze pasquali a cercare nuove strategie.

In questo articolo mi sono concentrato su come sostituire il certificato presentato nell’articolo “Tre banche europee per oltre il 16% all’anno” che è andato ormai in scadenza anticipato.

Per chi se lo fosse perso, consiglio anche di leggere “Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari” perché la recente ritirata di Trump sui dazi alla Cina sembra essere una delle conseguenze delle argomentazioni scritte in tale articolo.

Con la scadenza del certificato DE000UG1U4Q2, analizzato in un precedente articolo su investmentengineering.it, gli investitori possono essere alla ricerca di nuove opportunità per reinvestire la liquidità.

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Tra le alternative ho trovato il certificato con ISIN IT0006767872, un prodotto che combina rendimento e protezione, ma con caratteristiche distintive rispetto al predecessore. In questo articolo analizzeremo le sue peculiarità, lo confronteremo con DE000UG1U4Q2 e valuteremo se possa rappresentare una scelta valida, considerando in particolare l’impatto di un maggior numero di sottostanti in un contesto “worst of”.

Premetto che mi sto spostando su un prodotto complessivamente più difensivo del precedente perché non mi fido del recente rimbalzo.

Descrizione del Certificato

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Breve compendio per Sinofobi e Suprematisti Occidentali vari

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Questo post “sostituisce” il classico articolo del weekend visto che ci troviamo nella settimana pasquale e quindi salterà. Ne approfitto per farvi gli auguri di Buona Pasqua!

Il post che segue è un po’ diverso dal solito e prendo spunto da un commento di un lettore (che ringrazio) riguardo il mio ultimo articolo che, seppur di sfuggita, accennava a quale dovesse essere, a mio avviso, la postura internazionale dell’Italia e quindi nei confronti della Cina.

Ci tengo a precisare che non c’è nessun intento polemico contro il commento stesso, così come la mia visione può tranquillamente non essere condivisa da alcuni: io lascerò i commenti aperti facendo affidamento sulla vostra educazione. Anticipo già che personalmente non risponderò ai commenti.

Visto che gli argomenti addotti vanno molto di moda (e lo andranno sempre di più) in maniera trasversale dagli ambienti ZTL ai suprematisti occidentali vale la pena dedicargli un post a sé.

Il commento recita testualmente:

Si,cadiamo in mano a un regime autoritario,che sta rapinando Paesi emergenti,terreni e terre rare,rubare tecnologie,colpevole del COVID, sovvenzioni statali alle sue imprese,vendendo in dumping,ecc.,… può bastare?
Il puzzone si può convincere,e poi passerà,i comunisti nn cambiano mai,Sic et sempre.
E poi nn ha proprio tutti i torti:usa ci pagano sicurezza,e noi investiamo in welfare che loro nn hanno…mi fermo qui

Prima di entrare nel merito, faccio un po’ di premesse:

  1. Non sono un sinologo
  2. Lungi da me difendere un paese o regime piuttosto che un altro
  3. Stringere accordi o alleanze in qualche campo non significa “cadere in mano a qualcuno”. Questo approccio è tipico di che dà per scontato che si debba inevitabilmente sottostare a qualche egemone.

Premesso ciò, iniziamo. L’articolo sarà un po’ lungo, perciò mettetevi comodi, ma soprattutto non conterrà nessuna strategia operativa.

Depredare i paesi emergenti

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Guadagnare fino al 22% annualizzato grazie alle follie altrui

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Ne avrei fatto volentieri a meno ma questa settimana non posso esimermi dal commentare anche io cosa stia succedendo sul fronte di dazi e della alta volatilità provocata da Trump. Sapete che di solito sono molto moderato nei toni, ma questa volta permettetemi di cambiare registro perché certe cose non si possono più né ascoltare né vedere.

Facciamo un po’ di riassunto sulle idee che sono passate per questo blog. Inizio ad esempio con il riportare un articolo dove si parlava della de-dollarizzazione e di quali effetti questo fenomeno avrebbe avuto sui prezzi dell’oro. La cronaca delle ultime settimane penso che sia stata la più palese conferma di questa visione.

Molti si chiedono come mai i tassi dei T-bond americani salgano (il trentennale è arrivato a sfiorare il 5%) ed il dollaro si deprezzi. Esattamente perché molti stanno entrando nell’ottica che il dollaro non sarà più moneta di riserva privilegiata come lo è stata dopo la fine degli accordi di Bretton Woods.

Questo era cominciato ad essere intuibile quando le sanzioni contro la Russia avevano bloccato i conti in dollari, ma lo sta diventando evidente nel tentativo, disperato e fallimentare, di riequilibrare La bilancia commerciale degli Stati Uniti da parte di Trump.

Un impero che rinuncia ad avere un surplus monetario, a fronte quindi di un deficit commerciale, smetterebbe di essere tale. Ora potrebbe anche darsi che Trump si riveli storicamente come un Gorbacëv in salsa

yankee ma sarebbe troppo bello per essere vero.

La retromarcia fatta nel giro di qualche giorno sui dazi al resto del mondo ne è una conferma.

È notizia di ieri sera che addirittura sono stati tolti i dazi anche per la Cina per quanto riguarda i prodotti tecnologici. Domani quindi in apertura ad esempio aspettatevi che un titolo come STM venga sospeso in asta di apertura per eccesso di rialzo.

Faccio notare inoltre che mantenere i dazi sulla sola Cina è sostanzialmente inutile vista la sua integrazione nella catena della produzione globale.

E qui adesso veniamo a quello che succederà: vedrete che nei prossimi giorni passeremo dal nemico russo a quello che cinese in men che non si dica. Della serie ” come stare sempre dalla parte sbagliata della storia”.

Infatti una classe dirigente degna di questo nome, sfrutterebbe immediatamente questa occasione per emanciparsi dal dominio di un impero in decadenza per trovare nuovi sbocchi economici, industriali e geopolitici per il proprio paese.

La prima iniziativa che si dovrebbe prendere sarebbe quella di ripristinare la via della seta, annullata da questo governo, per aggraziarsi non solo al sistema produttivo cinese (di gran lunga il primo al mondo), ma a tutto il blocco euro-asiatico che sarà il futuro dei decenni a venire.

Ricordo anche che la Cina attuale dipende molto meno dalle sue esportazioni di quanto non lo facesse 20 anni fa ma anche rispetto a paesi come l’Italia o la Germania.

Italia: 33,73% (sul PIL)

Germania: 42,1% (sul PIL)

Cina: 19.72% (sul PIL)

Quindi, quando sentirete castronerie sulla sovra-produzione cinese, ricordatevi questi dati.

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Con il terremoto Trump iniziare un buy the dip?

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Negli ultimi giorni, i mercati finanziari hanno vissuto un vero e proprio terremoto, scatenato dall’annuncio dei nuovi dazi imposti da Donald Trump. Questa decisione ha avuto un impatto immediato su diverse asset class, generando volatilità e incertezza tra gli investitori. Le conseguenze economiche e finanziarie di questa mossa si stanno ancora delineando, ma le prime reazioni indicano un cambiamento significativo nello scenario globale.

Le politiche protezionistiche adottate da Trump hanno colpito duramente il commercio internazionale, penalizzando in particolare i settori manifatturiero e tecnologico. Le aziende statunitensi e internazionali, che dipendono da catene di approvvigionamento globali, si trovano ora a dover rivedere le proprie strategie operative. Il mercato azionario ha reagito con forti ribassi, con i principali indici che hanno registrato perdite consistenti a causa delle preoccupazioni per una possibile guerra commerciale su larga scala.

Anche il mercato obbligazionario ha subito scosse significative. I rendimenti sui titoli di Stato sono aumentati, riflettendo le aspettative di un possibile rialzo dell’inflazione dovuto ai costi aggiuntivi imposti dai dazi. Gli investitori si trovano ora a dover riequilibrare i propri portafogli, cercando rifugi sicuri per mitigare l’impatto dell’incertezza economica. I corporate bond, soprattutto quelli di aziende esposte al commercio internazionale, hanno subito un ampliamento degli spread, segnalando un aumento del rischio percepito.

Il mercato valutario ha mostrato forti oscillazioni, con il dollaro che ha inizialmente guadagnato terreno grazie alla politica protezionistica, per poi subire correzioni man mano che i timori di un rallentamento economico si sono diffusi. L’euro e le valute emergenti hanno subito pressioni, mentre lo yen giapponese e il franco svizzero sono stati visti come rifugi sicuri dagli investitori.

Il concetto di “terremoto finanziario” descritto in questo contesto non è solo una metafora, ma una rappresentazione accurata della situazione attuale. Il mercato sta attraversando una fase di profonda incertezza, dove ogni nuova decisione politica può innescare reazioni a catena difficili da prevedere. Le economie globali si trovano di fronte a un bivio: da un lato, la possibilità di un rallentamento dovuto alle barriere commerciali, dall’altro, la necessità di adattarsi a un nuovo scenario competitivo.

Per gli investitori, la sfida principale sarà gestire questa volatilità con un approccio prudente e diversificato. La ricerca di asset resilienti e strategie di copertura diventerà fondamentale per navigare in questo clima di instabilità. Le prossime settimane saranno cruciali per capire l’effettivo impatto dei dazi e delle contromisure adottate dagli altri paesi.

In sintesi, l’annuncio dei dazi di Trump ha scatenato un terremoto sui mercati finanziari, mettendo in discussione equilibri consolidati e aprendo scenari inediti per l’economia globale. La capacità di adattamento e una visione strategica di lungo periodo saranno essenziali per affrontare le sfide future e cogliere le opportunità che emergeranno da questo contesto in trasformazione.

Di seguito riporto qual è la mia strategia di lungo termine in questo contesto. Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete cliccare sulle inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Queste ultime due possibilità non vi costano nulla! Inoltre ora potete farlo anche tramite un trasferimento di bitcoin a questo indirizzo: bc1qy0kr074kdpnlrzszgwfnrdrlv2srnmkdzltl8s od utilizzando il seguente QR Code:

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Guadagno oltre il 17% e protezione fino al 50% dei ribassi: oggi è possibile

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Vista la poca personale disponibilità di tempo questa settimana, a cui si somma l’entra in vigore dell’ora legale, eviterò il solito riassunto della settimana ed andrò direttamente alla presentazione del certificato.

Vi dico solo, al volo, che ora, dopo aver accumulato molta liquidità come ho scritto in praticamente tutti i post degli ultimi mesi, sto entrando con un tasso constante settimanale su prodotti che ritengo interessante. Quello che segue è uno di questi in cui sono entrato proprio alla chiusura di venerdì.

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Partiamo dai dettagli principali:

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Volare a più del 12% all’anno

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Sembra che, mentre i mercati finanziari attendono con ansia l’annuncio del 2 aprile da parte dell’amministrazione Trump, il dibattito su dove convenga investire si fa sempre più acceso. La dichiarazione di Trump, che prevede nuove tariffe per riportare “soldi e rispetto” agli Stati Uniti, ha generato un clima di sospensione, con Wall Street che fatica a trovare una direzione chiara. Dopo settimane di ribassi, il mercato azionario ha segnato un lieve recupero, ma senza slanci significativi.

A pesare su questa incertezza è anche il rallentamento degli utili aziendali. Colossi come FedEx e Nike hanno presentato prospettive inferiori alle attese, attribuibili in parte al clima di instabilità politica ed economica. La Federal Reserve ha risposto a questo scenario lasciando invariati i tassi di interesse, ma ha rivisto al ribasso le stime di crescita del PIL per il 2025, alzando al contempo le previsioni di inflazione.

Diciamo inoltre che, a livello di stagionalità, dovremmo essere verso la fine del ciclo ribassista e, per chi come me ha in questi ultimi mesi accumulato liquidità, è arrivato il momento di iniziare a rientrare con gradualità, con gli strumenti giusti e soprattutto attendendo i segnali d’inversione di tendenza.

Di fronte a questa situazione, l’Europa ha preso una strada diversa, con la Germania che ha varato un massiccio piano di stimoli fiscali. L’approvazione di un pacchetto da 500 miliardi di euro per le infrastrutture e un aumento delle spese per la difesa fino al 3% del PIL testimoniano un cambio di rotta significativo. Si stima che il totale degli stimoli fiscali possa raggiungere i 1000 miliardi di euro nei prossimi anni, segnando una svolta per un Paese storicamente vincolato a politiche fiscali restrittive.

Queste misure stanno già influenzando i mercati finanziari, con gli investitori che si riversano sui titoli del settore della difesa. Tuttavia, l’entusiasmo rischia di alimentare una bolla speculativa, con alcune azioni che hanno già moltiplicato il loro valore fino a dieci volte dall’inizio del conflitto in Ucraina. Sapete che, in tempi non sospetti, in questo blog sono state suggerite diverse strategie su questo settore, ma ora sto riducendo l’esposizione o vendendo metà delle esposizioni dirette come azioni o tracker, o portando in autocall i certificati e non rinnovandoli.

Sempre in Europa, la BCE si trova ad affrontare nuove pressioni, che potrebbero limitare ulteriori tagli ai tassi d’interesse.

Se da un lato l’America continua a essere una destinazione privilegiata per gli investitori globali, dall’altro emergono rischi significativi. Secondo alcuni analisti, le politiche economiche di Trump potrebbero accelerare un processo di trasformazione radicale, simile a quello avviato da Krushchev e Gorbaciov nell’URSS. La riforma dei rapporti economici e il protezionismo potrebbero avere effetti imprevedibili, con il rischio di un’erosione del ruolo dominante del dollaro e una maggiore volatilità dei mercati.

La sovrapposizione tra un mercato azionario sopravvalutato e un dollaro artificialmente forte potrebbe generare un’ulteriore instabilità. Un’eventuale perdita di fiducia nel debito statunitense, combinata con tensioni geopolitiche, potrebbe tradursi in un’accelerazione della fuga di capitali.

La strategia di questa settimana investe proprio sul settore che per definizione unisce i vari continenti: quello del trasporto aereo.

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L’incidente verificatosi all’aeroporto di Heathrow ha portato volatilità sul settore che merita di essere sfruttata, ma sempre con molta prudenza come il prodotto riportato ci permette:

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Il momento giusto per salire sulla Ferrari?

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Mercati in bilico tra incertezze politiche ed economiche

La settimana finanziaria si è chiusa con una nuova ondata di incertezze per i mercati, dominata dalle politiche dell’amministrazione Trump e dalle ripercussioni sulle principali variabili economiche globali. Da un lato, le tensioni sui dazi e le strategie monetarie statunitensi hanno condizionato Wall Street; dall’altro, il rallentamento della crescita e il timore di una possibile stagflazione pongono interrogativi sul futuro dell’economia.

Il peso dell’incertezza tariffaria

Secondo le analisi sui mercati, Wall Street ha registrato la quarta settimana consecutiva di ribassi, con il Nasdaq 100 che ha subito un drawdown del 15% prima di recuperare parzialmente. L’incertezza legata alle politiche tariffarie di Trump, caratterizzate da continui annunci e rettifiche, sta penalizzando gli investitori. L’amministrazione, piuttosto che concentrarsi sui mercati azionari, sembra dare priorità all’andamento dei rendimenti obbligazionari, del dollaro e del petrolio.

Nonostante i dati sull’inflazione negli Stati Uniti siano risultati inferiori alle attese, i mercati non hanno reagito positivamente. Il motivo è che, mentre i numeri attuali sono contenuti, le tariffe imposte potrebbero portare a un aumento generalizzato dei prezzi nei prossimi mesi. Questo effetto potrebbe essere amplificato dal deprezzamento del dollaro, che renderebbe le importazioni più costose e aumenterebbe l’inflazione interna.

Parallelamente, l’amministrazione sta valutando l’introduzione di “military bonds”, obbligazioni a lungo termine o perpetue da vendere agli alleati per finanziare la difesa statunitense. Questo strumento potrebbe avere implicazioni rilevanti sui mercati obbligazionari e sulla strategia fiscale del governo.

Inizialmente, le aspettative sui mercati erano ottimistiche, con la prospettiva di una crescita sostenuta grazie a tagli fiscali e politiche di deregolamentazione. Tuttavia, negli ultimi mesi, l’attenzione si è spostata sugli aspetti negativi, come le restrizioni all’immigrazione e l’imposizione di dazi su larga scala.

Di seguito riporto un simpatico grafico che mi ha inviato un consulente finanziario che ci fa riprendere contatto con la realtà, con buona pace dei turbo-trampiani che non capivano la differenza tra i tweet di personaggi eccentrici e le dinamiche geopolitiche e geoeconomiche:

Uno degli effetti di queste politiche è il rallentamento della crescita, che avviene in un contesto in cui l’inflazione, pur non essendo elevata, sta diventando una preoccupazione persistente. Questo scenario ha alimentato timori di stagflazione, ovvero una combinazione di crescita lenta e inflazione elevata, che storicamente ha avuto un impatto negativo sui mercati finanziari.

Questo timore, secondo me, può e deve essere sfruttato per chi ha una visione di più lungo periodo acquistando obbligazioni su tutta la curva ed in particolare sulla parte lunga.

Un altro elemento di incertezza è il comportamento della Federal Reserve. A differenza di periodi passati in cui la banca centrale ha adottato misure di stimolo in risposta a politiche fiscali restrittive, l’attuale Fed si mantiene cauta, evitando di compensare le azioni del governo con tagli ai tassi di interesse. Questo potrebbe contribuire a un ulteriore rallentamento dell’economia nei prossimi mesi.

Nonostante la recente correzione dei mercati azionari, il quadro economico non è del tutto negativo. Alcuni fattori, come le misure di stimolo adottate da Europa e Cina, potrebbero fornire un supporto alla crescita globale. Tuttavia, l’introduzione di nuove tariffe, attese a partire dal 2 aprile, potrebbe portare a una nuova fase di turbolenza nei mercati.

In sintesi, i mercati restano sospesi tra il peso delle incertezze politiche e l’attesa di misure concrete che possano stabilizzare lo scenario economico. L’evoluzione delle politiche tariffarie e l’atteggiamento della Fed saranno determinanti per capire la direzione futura dell’economia globale.

Ora secondo me, per chi come me ha accumulato liquidità fino ad oggi (chi mi segue lo sa), può essere giunto il momento di iniziare a rientrare sul mercato gradatamente: scegliendo i titoli giusti e le strategie giuste.

Il titolo scelto questa settimana è Ferrari.

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